spilling the tea.

ft. william

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    «you're doing amazing sweetie» con tanto di pollice verso l'alto, per aumentare un po' l'autostima del ragazzetto che lo osservava con gli occhi più speranzosi che Wren avesse mai visto: un po' gli dispiaceva per lui, si sentiva sinceramente male all'idea di dover dire a sua mamma che no, non c'era verso, non era nemmeno lui il pasticcere di cui avevano bisogno. Era cosciente, Wren, di essere insostituibile ma era anche molto cosciente del fatto di non poter più fare tutto da solo: da quando Bob, l'altro cuoco, li aveva abbandonati per andare a vivere il suo sogno di fare il maître pâtissier in qualche baretto di provincia francese da quattro soldi, lui si era ritrovato a dover svolgere tutto il lavoro e NOPE non erano quelli i patti: lavorare full-time? DA PAZZI. Inaccettabile. Un trauma. Gli piaceva il laboratorio e gli piaceva cucinare, ma non lo voleva come lavoro sEriO.
    E così aveva fatto partire i colloqui e i provini -- ma non erano ancora arrivate assunzioni, purtroppo. Nessuno che fosse all'altezza o che riuscisse a superare le aspettative del geocineta: andiamo, la pasticceria era un'arte, non poteva essere cosa per tutti !! (E infatti quelle terribili mattinate a fare da ombra a novelli pasticceri avevano dimostrato che non lo era.)
    Il punto era che nemmeno quel ragazzo lo soddisfaceva appieno -- però aveva il musetto tenero e lo sguardo speranzoso di chi sente di potercela fare. E lui era un po' il Cannavacciuolo della situazione, che deve dirti di no al grembiule ma alla fine ti dice sì perché i ravioli che hai preparato gli ricordano quelli che faceva sua nonna. Insomma, Wren aveva un cuore e trovava difficile distruggere i sogni altrui.
    Per lo meno, loro ce li avevano dei sogni.
    E delle aspirazioni.
    «Non sembra una millefoglie ma un crostatina, però chi se ne accorgerà, dico bene?» Tutti, probabilmente, ma una piccola bugia detta a fin di bene non aveva mai ucciso nessuno. Anzi, dal sorriso radioso dell'altro, Wren sentì di aver fatto la mossa giusta. Per una volta. Lo congedò con una mano sulla spalla, indicandogli il ripiano alle loro spalle. «Vai a finire di temperare il cioccolato, dai, qui ci penso io.» Potevano ancora salvare la giornata, dopotutto. Il ragazzino – se era intenzionato a farlo assumere, avrebbe dovuto imparare il suo nome, ma non era quello il giorno. - trotterellò via contento, e Wren si mise a lavoro.
    La pasticceria lo rilassava, in una maniera diversa dall'erba che era solito fumare, e si divertiva un mondo nella cucina dell'Aconitea. Era il suo regno, a maggior ragione ora che era l'esperto a tutti gli effetti. Una responsabilità che non era sicuro al cento percento di volere, eh, ad essere del tutto onesti, ma di cui si era fatto carico con coraggio come favore personale nei confronti di sua mamma. Non era la prima volta che Vals gli accollava ruoli del genere -- nella lista dei suoi doveri (in qualità di figlio della proprietaria) annoverava già diverse cariche, come ad esempio quella di controllare la cassa e occuparsi della chiusura serale, pubbliche relazioni con i fornitori di tanto in tanto, farsi passeggiate tra i vari concorrenti per vedere un po' che aria tirava dalle loro parti e cose del genere.
    Ma avere un intero settore dell'attività che dipendesse da lui...? Beh, quello lo spaventava un po': sapeva di essere un imbranato quando si trattava di quelle cose e di non essere certo la persona più affidabile di Diagon Alley – o dell'intero pianeta, per dirla tutta. Ecco perché stava cercando un Bob 2.0! Qualcuno che meritasse la responsabilità della cucina -- e, soprattutto, che la (volesse) sapesse gestire.
    Ma tutti i Bob sembravano essere già impegnati e a lui rimanevano... i ragazzini. Unreal. Blocked.
    Un rumore sordo alle sue spalle gli fece roteare gli occhi e lo portò a sbuffare leggermente. Proprio quando stava per convincersi di aver fatto la scelta giusta... «Che hai combin-» lo sguardo altrettanto confuso del ragazzetto lo insospettì. «Non sei stato tu?» L'altro scosse la testa e Wren oltrepassò le porte oscillanti che lo separavano dal locale principale alla velocità della luce. Sua mamma si era, e cito testualmente, “assentata per qualche sec torno subito non dare fuoco a nulla smacksmack ciauuuz” e Wren aveva sperato che in quei “qualche sec” non succedesse nulla di allarmante.
    Spoiler: era successo.
    Cosa fosse successo, però, non lo sapeva neppure lui. Ma shentiva, come una Vin, che fosse qualcosa di poco piacevole.
    «Che succede?» Chiese, rivolto a Bev, la cameriera, che in tutta risposta fece spallucce e indicò, con lo sguardo allarmato, dei tavoli poco distanti.
    Delle figure ministeriali – a giudicare dall'aspetto e dalle divise – stavano... facendo cosa, esattamente? Molestando uno dei suoi clienti? Wren si avvicinò, già maledicendo sua mamma per non essere : non era di certo lui la persona migliore per intromettersi in quelle situazioni.
    Perché era uno special? Sì, beh, anche: ma soprattutto perché era una testa calda e finiva sempre col peggiorare le cose. Si schiarì comunque la voce e bussò sulla spalla di uno dei tizi. «Posso aiutarvi in qualche modo -» prima di cacciarvi a calci nel culo dal locale «- ?» Un sorriso affabile ma poco sincero, di circostanza, nella speranza che bastasse per ammorbidire i clienti indesiderati. Lo sguardo cadde sulla persona che avevano accerchiato, e Wren assottigliò le palpebre. «Va tutto bene, Paul?» Lo conosceva abbastanza da sapere che era un persona rispettabile e seria, lasciava sempre belle mance e sua mamma sembrava trovarlo particolarmente simpatico. Forse non lo conoscevano così bene come immaginavano, ma Wren era pronto a concedergli il beneficio del dubbio. Confidava che fosse tutto «...un malinteso?» Osservò i Pavor – domandandosi, distrattamente, cosa mai avesse potuto combinare uno come Paul per attirare le attenzioni del ministero.
    La risposta sentiva di saperla, e di quei tempi non lo avrebbe di certo sorpreso sapere che fosse un ribelle -- erano tempi incerti quelli. Strani. Ma sua mamma aveva sempre aperto le porte ai ribelli pur non sposandone la causa, e Wren era cresciuto imparando a dare sempre il beneficio del dubbio a chiunque.
    I Pavor potevano aver sbagliato persona; o Paul poteva davvero aver commesso qualche folle gesto antigovernativo; qualsiasi fosse la verità, però, nessuna delle due parti aveva diritto di creare tale scompiglio all'interno del suo locale.
    Di sua mamma, okay, va bene, but still.
    Quasi come se avessero letto nei suoi pensieri, i Pavor afferrarono Paul e lo costrinsero ad alzarsi in piedi -- e quando lui si rifiutò, lo scagliarono contro la parete alle sue spalle, mentre il resto dei commensali sembrò improvvisamente scongelarsi, impietriti fino a quel momento dalla paura, e si riversò in strada. Wren agì d'istinto, frapponendosi fra le autorità e il suo cliente. «Non potete farlo.» Potevano, eccome, invece. «Non qui dentro, non nel-» uno dei Pavor gli puntò la bacchetta contro, e Wren si morse la lingua. Indurì lo sguardo e dovette far ricorso ad ogni briciola di autocontrollo che aveva (poche.) per non tirargli una testata sulle gengive -- o peggio, richiamare a sé il suo potere e farli ingoiare tutti da una crepa nel pavimento.
    Alzò entrambe le mani in gesto di resa, sentendosi inutile e incredibilmente disgustato da se stesso per il modo in cui stava... semplicemente accettando di non poter fare nulla, ma non poteva finire nei guai. No, anzi: non voleva che sua mamma finisse nei guai. L'Aconitea aveva molti più segreti di altre comunissime sale da tè, e Wren non poteva mettere a repentaglio il negozio per qualcuno che non conosceva nemmeno. Doveva continuare a ripeterselo per convincersi che farsi da parte come il mago suggeriva (ordinava) fosse la cosa giusta.
    Non lo era.
    Ma cos'altro poteva fare?
    Un Pavor afferrò Paul, smaterializzandosi nell'immediato. Quello che teneva Wren sotto scacco con la bacchetta afferrò uno dei dolcetti dal piattino sul tavolo, rimasto miracolosamente intatto nonostante la colluttazione, e socchiuse gli occhi. «Mh. Delizioso. Ti consiglio di limitarti a fare questo, pasticcere E sparì anche lui, prima che Wren potesse perdere la calma e strangolarlo con qualche liana.
    Rimasto finalmente solo, rilasciò il respiro che non si era accorto di aver trattenuto e si maledì a denti stretti, voltandosi di scatto e tirando un pugno alla parete, in un rumore sordo di nocche che si rompevano e legno che si sgretolava.


    Qualche ora dopo, Wren era ancora nel locale -- ormai vuoto da un pezzo.
    Quei pochi clienti che erano rimasti per assistere alla scena fino alla fine, erano stati mandati via dal ragazzo, scusandosi per quanto successo (e fingendo di non vedere quanto divertiti essi fossero, una manica di comari impiccione, ecco cos'erano) e rassicurandoli sul fatto che non ci fossero problemi, al loro conto ci avrebbe pensato lui, per quel giorno offriva la casa. Sua mamma non sarebbe stata contenta, ma d'altra parte non lo sarebbe stata a prescindere: una cosa del genere non si sarebbe mai verificata alla sua presenza, Valerie sarebbe stata in grado di gestirla diversamente. Lui invece... era stato inutile. E c'aveva persino rimesso una cazzo di mano.
    Strinse la fasciatura alla bell'e meglio, prendendo in considerazione solo per un attimo la possibilità di chiamare Lupe e farsi medicare da lei: a che pro avere una coinquilina guaritrice se poi non ti guariva? Duh. Ma Guadalupe era impegnata al castello e non era nemmeno un periodo semplice, quello, per Hogwarts, tra la pandemia e tutto il resto. Guardò la mancina, storcendo il naso al pessimo lavoro svolto, ma poi non ci badò più di tanto: aveva altri problemi, tipo capire dove fosse finita sua mamma (la solita impicciona, probabilmente stava cercando di capire davvero in che guaio si fosse ficcato Paul), e quello di risistemare sedie e tavoli divelti dalla scaramuccia di poche ore prima. Con un sospiro, si avvicinò alle sedie e le rimise dritte.
    «Che bastardi.»
    Sua mamma: per averlo lasciato solo a rassettare.
    Paul: per aver scelto di farsi beccare all'interno dell'Aconitea.
    I Pavor: per quel dannato casino.
    In quel momento, Wren ce l'aveva un po' con tutti perché era più facile che accettare l'altra scomoda verità: ce l'aveva con se stesso per non essere stato più deciso. Per aver forse reso le cose più complicate intromettendosi senza poi concludere davvero nulla.
    Inutile, eccome come si sentiva.
    E incazzato nero.
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    Paul Bankowski era un brav’uomo. Forse non il migliore fra gli uomini, non destinato a diventare il prossimo messia o il portatore della salvezza assoluta, ma era un brav’uomo il cui unico errore era stato di fidarsi delle persone sbagliate. Un fallimento comune in una società come la loro; non poteva neanche biasimarlo per l’ingenuità da dilettante che l’aveva portato a quella triste, e univoca, conclusione. La linea di confine fra comune cittadino e figlio del Regime, si faceva di giorno in giorno più sottile, e la loro una guerra sempre ad armi meno pari. La Resistenza giocava di falle nel sistema, di crepe nelle quali infiltrarsi per allargarle e spaccare la lente entro cui veniva visto il mondo, ma di quei tempi di fenditure se ne trovavano sempre meno. Era stato facile puntare il dito contro Vasilov, la cui politica era andata ad intaccare una grande fetta del mondo magico, e bisbigliare a più voci quanto fosse sbagliato, trovando supporto nell’opinione pubblica; Kimiko Oshiro non lasciava lo stesso margine di manovra, trovando sempre giustificazioni sensate, ed efficaci, e lo stiamo facendo per voi che tendevano a rendere i membri della ribellione i mostri di cui tutti i bambini avevano timore, e per cui domandavano al padre - ai Pavor - di guardare sotto al letto.
    Chi denunciava un potenziale ribelle, veniva premiato.
    Immaginava che Roze avrebbe dormito sonni tranquilli, fra le proprie lenzuola di seta, sapendo di aver offerto un ottimo servigio al Ministero ed al proprio materasso nuovo, mentre Paul si scorticava la gola e la pelle fino a non avere più né l’uno né l’altro. Era giusto. Scommetteva che le avessero offerto anche una buona tazza di tè, e non quella tristezza sputata dalle macchinette, mentr’ella piangeva e raccontava dell’uomo che aveva ucciso il marito – un violento che non aveva mai esitato ad alzare le mani sulla donna; un censore che il ministero aveva sempre elogiato – e le aveva offerto il palmo offrendole una strada diversa. Magari non migliore. William Barrow iniziava a pensare che di strade migliori non ne esistessero, non quando li avevano premuti con le spalle contro al muro rendendoli assassini e traditori, ma non significava che credesse meno alla causa: poteva essere quella peggiore, se un giorno i loro passi avrebbero permesso ad altri di camminare su percorsi meno dissestati. Sapeva cosa la sua gente pensasse di lui, e sapeva che nulla di quanto sussurrato fosse lusinghiero.
    Sapeva anche di meritarselo.
    Potevano dipingerlo come il cattivo della loro storia, se voleva dire che in futuro qualcun altro avrebbe potuto permettersi di fare scelte meno controverse: in quel secolo e di quei tempi, Will era ciò che si meritavano e di cui avevano bisogno. Non doveva piacergli, anche se non gli sarebbe dispiaciuto un minimo di supporto almeno al QG, ma dormiva comunque sonni (all’incirca, qualche volta) sereni.
    Le loro spie al Ministero, non avevano saputo nulla fino a che non era stato troppo tardi. William non era stato presente quando avevano estratto l’uomo dal locale, ma non aveva avuto bisogno di esserci per sapere quale fosse il modus operandi del Ministero: entra, distruggi, preleva ed abbandona. Ne vedeva i residui ore dopo l’accaduto, fumando pigro una sigaretta vicino all’entrata dell’Aconitea. La proprietaria era una donna… particolare, senza dubbio – difficile da inquadrare, e fin troppo semplice da etichettare come qualcuno che facesse le scelte giuste nel modo sbagliato. William Barrow non era tipo da giudicare, specialmente non di quei tempi, dove il minimo era già il massimo che potessero ottenere. Sapeva di Paul? Gli aveva offerto rifugio? Era solo una coincidenza? Non sapeva cosa fosse accaduto nello specifico, ma era lì per scoprirlo – e per chiedere scusa, perché per ogni ribelle catturato, parte della colpa ricadeva sulle sue spalle per non aver anticipato il Ministero, per non aver protetto abbastanza la sua gente. Accuse che accettava da se stesso, e ignorava quando sollevate dai compagni: si prendeva sempre le proprie responsabilità, Will, ma si aspettava anche che loro facessero lo stesso. Non lo faceva notare, però. Se avevano bisogno di un capro espiatorio, era uno dei suoi doveri esserlo.
    Ma non rispondere. C’era un limite alla pazienza dell’ex Corvonero.
    Spense la sigaretta contro il palo di un lampione, lanciandone il mozzicone nel cestino adiacente, e tentò di spingere sulla porta malgrado il cartello segnalasse fosse chiuso. Ruotò sui cardini senza cigolare, offrendogli uno spiraglio alquanto triste di ciò che era rimasto dietro l’arrivo dei Pavor: un locale vuoto, ed un ragazzo arrabbiato.
    Tipico.
    «Che bastardi.»
    «non ti hanno lasciato la mancia?» domandò, avvicinandosi al bancone, offrendo un mezzo sorriso che sapeva di tutto eccetto che di sincero divertimento. «la porta era aperta» giustificò, indicando con il pollice l’entrata. «giornata difficile. Posso chiedere un eccezione? Non mi farebbe male uno dei vostri tè speciali» si sedette sullo sgabello intrecciando le dita davanti a sé, un’occhiata morbida verso l’Hastings – figurarsi se Will non conosceva tutti gli spacciatori. «anche a te, pare»
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    Gli Hastings avevano fatto del "camminare sul filo del rasoio" la loro filosofia di vita, ben consapevoli che il disastro era sempre ad un solo passo falso di distanza, in agguato, pronto a distruggere tutto quello che di buono avevano creato fino a quel momento.
    Ribellione e anarchia, infondo, ce l'avevano tutti nel DNA, a partire da Patricia Grant che, giovane strega proveniente da una facoltosa famiglia purosangue, aveva deciso di adottare la sua figlioccia, strappandola ad una famiglia di sangue ugualmente puro che, fiera del proprio stato, voleva ripudiarla per il suo essere magonò; Pat, al tempo giovanissima, non era riuscita a rimanere in disparte e aveva agito prima di riflettere: i Mantle erano stati più che felici di sbarazzarsi della bambina -- e allo stesso tempo, cessare ogni rapporto con quella strega dagli ideali folli e poco rispettabili.
    Così Pat aveva cresciuto Melissa, che qualche anno dopo avrebbe incontrato Trevor Hastings, anche lui un mago promettente ma poco disposto a sottostare alle idee e alle regole di un governo nel quale, infondo, non credeva poi così tanto. Lo stesso governo che gli imponeva di disprezzare le persone come Melissa, perché immode, sporche, difettose -- mentre lui riusciva solo a vedere la generosità del cuore di quella ragazza solare e ben disposta verso tutti; ribelle anche lei, a modo suo, ma mai troppo rivoluzionaria. Melissa non voleva cambiare il mondo, non spettava di certo a lei: voleva solo renderlo un po' meno peggio. E Trevor l'amava per questo. E qualcuno li voleva morti, per quello.
    Solitamente, i racconti appassionati di Vals si interrompevano lì: saltavano dall'incontro dei genitori, il matrimonio e la sua nascita passando direttamente al dopo, a lei durante gli anni di Hogwarts e alle strampalate avventure insieme alle sue due migliori amiche e al suo "will-they-won't-they kinda trope" non-fidanzato del tempo. Non parlava mai di quello che era successo ai suoi genitori, di come si fosse ritrovata orfana, di come Pat l'avesse presa in casa sua e cresciuta -- proprio come aveva fatto con sua mamma. A Valerie non piaceva parlare di quello, e preferiva concentrarsi sul resto, sulle parti belle della loro storia. Ripeteva sempre come quella famiglia fosse un porto sicuro per quelli come loro: soli, abbandonati, reietti della società. E Wren amava quei racconti, al punto da riuscire persino ad accettare quel vuoto enorme che Vals non ne voleva sapere di colmare a parole, pur di poter continuare a sentire certe storie.
    Il coraggio di sua madre, la determinazione di sua nonna e la passione di suo padre, la fierezza della sua bisnonna: erano le cose che l'avevano influenzato e reso, col tempo, la persona che era diventato. Non si reputava perfetto, Wren, nessuno lo era, ma sapeva che dentro di lui bruciava la stessa passione che aveva reso Pat la donna che era, la stessa intraprendenza che aveva mandato avanti Valerie nonostante tutto e nonostante tutti. Lo sapeva perché la sentiva, la scintilla che animava il suo cuore quando ai verificano situazione come quella accaduta nel pomeriggio, la rabbia che gli suggeriva non potesse essere accettabile né tantomeno condonabile un comportamento del genere da parte delle autorità. Voleva fare di più, voleva essere di più: voleva avere la stessa determinazione (e noncuranza delle conseguenze) che avevano avuto tutte le donne della sua famiglia, il coraggio di fare qualcosa perché giusto.
    Nessuno di loro aveva preteso di poter ribaltare il mondo e cambiarlo di punto in bianco, ma tutte e tre avevano lanciato un sasso su uno specchio d'acqua apparentemente impeccabile e avevano creato un disturbo, ciascuna alla propria maniera; tante piccole onde che, prima o poi, avrebbero portato a qualcosa. Voleva essere anche lui un'onda, una nota stonata in quella sinfonia giudicata perfetta. Voleva contribuire -- al caos, al mutamento, alla rivoluzione; andavano bene tutte, purché potesse fare qualche cosa.
    Era una parte di lui che smaniava per uscire, per emergere finalmente oltre la pesante ed infantile cortina fatta di menefreghismo e insoddisfazione personale; lo sapeva di non essere determinato come sua mamma o progressista come sua nonna -- e sapeva anche di non avere la compostezza giusta per potersi permettere di diventarlo, non in quella società. Non in quel determinato periodo storico.
    Non ragionava a mente lucida, non era attento, non era discreto. Sapeva controllarsi ma a malapena, ed aveva rischiato di esporsi un po' troppo anche quello stesso giorno: se i ministeriali fossero rimasti solo due minuti più a lungo, lui li avrebbe sicuramente attaccati con i propri poteri, finendo nella medesima situazione del povero Paul. Aveva molto più da perdere di tanti altri -- o molto meno, a seconda dei punti di vista. Gli mancava l'audacia di Vals (ironico, visto che solo uno di loro era stato grifondoro e non parlo della ex tassorosso) così come gli mancava la spinta giusta che facesse finalmente pendere il suo ago morale da una parte piuttosto che dall'altra: aveva passato tutta la sua vita nel mezzo e ora non sapeva più neppure lui cosa fosse. Non si esponeva come sua mamma, terrorizzato all'idea di poterla far soffrire nuovamente come sei anni prima, quando era stato preso e portato nei laboratori, e fatto sparire per anni; e, come lei, non credeva fino in fondo che i metodi "della resistenza" fossero quelli corretti. Voleva un cambiamento, voleva giustizia; non voleva macchiarsi le mani di sangue innocente.
    Non credeva ai giornali, un po' perché viveva nel suo mondo fatto di droghe allucinogene e rilassanti per gran parte del tempo e un po' perché era un pensiero condiviso dall'intera famiglia che i giornalisti, specialmente quelli filo-ministeriali, fossero così platealmente di parte da non fornire un punto di vista obiettivo e giusto: scrivevano ciò che reputavano potesse dirottare l'opinione pubblica verso i loro ideali e manipolarla a lori piacimento.
    Per tutte le peonie!!, erano gli stessi giornali che avevano additato North e JD come degli spietati assassini pronti a tutto pur di destabilizzare l'intero sistema magico inglese, disposti persino ad uccidere persone innocenti.
    North!!!
    JD!!!!!!
    Wren li conosceva entrambi e, per quanto colpevoli di essere umani e, per tanto, imperfetti, non erano più pericolosi di lui quando decideva di mettersi alla guida della vecchia cabrio di sua mamma, sprovvisto di patente e senza la minima idea di cosa fosse un cambio manuale.
    Quindi no, non credeva nella ribellione così come se ne parlava nelle strade e sui quotidiani, ma non era certo neppure di credere in loro come soluzione; sua mamma gli aveva insegnato che credere negli altri era una buona cosa, ma fidarsi ciecamente di loro era da idioti; se voleva una cosa, doveva pensarci (e farla) da sé. Ecco perché Val, pur non condonando i soprusi del ministero, non aveva mai appoggiato fino in fondo la causa ribelle, rimandendo un disparte e facendo come da ponte tra una realtà e l'altra.
    Negabilità plausibile: poteva agire nelle sue zone di comfort, nelle sue aree grigie, e allo stesso tempo risultare pulita agli occhi della società.
    Ma Wren non aveva le skill di sua madre.
    Wren era sempre ad un passo dal disastro; e per questo non faceva mai nulla, spaventato dalle possibili conseguenze. Salvo poi mangiarsi le mani per la sua inettitudine.
    Per la sua vigliaccheria.
    Era tutto quello a cui riusciva a pensare mentre, chino sui cocci delle tazzine finite in terra, raccoglieva i pezzi di quella triste giornata e della sua vita. Fu una voce alle sue spalle a farlo voltare -- di scatto e in guardia, già pronto ad evocare qualche radice per bloccare l'intruso qualora ce ne fosse stato bisogno: ne aveva le palle piene, per quel giorno, di gente che si imbucava nel suo negozio.
    «la porta era aperta» Assottigliò lo sguardo, giurando di averla chiusa lui stesso dietro gli ultimi clienti cacciati dal locale; ma poi era tornata (e ri-uscita) sua mamma, che non aveva mai imparato ad utilizzare correttamente una serratura e una chiave, quindi tutto poteva essere. Incrociò le braccia al petto, puntando gli occhi sulla figura in avvicinamento. «Sì, beh, siamo chiusi professore
    «giornata difficile. Posso chiedere un eccezione? Non mi farebbe male uno dei vostri tè speciali»
    Abbassò le palpebre solo un momento, l'Hastings, domandadosi perché proprio a lui dovevano succedere certe cose: voleva solo sdraiarsi sul divano del suo appartamento e fumare via ogni problema. E invece no, si stampò un finto sorriso sulle labbra e fece il giro del bancone, piazzandosi direttamente di fronte all'inaspettato cliente. Di norma, i tipi come William Barrow gli stavano particolarmente simpatici; ma quell'infinita giornata aveva messo già a dura prova la sua pazienza, e voleva solo chiudere il negozio il prima possibile. Rifletté che, magari, accontentarlo era il modo più veloce per farlo andare via. E poi, sua madre lo avrebbe linciato se l'avesse beccato ad essere scortese con un potenziale cliente. Gli fece cenno di rimanere seduto al suo posto mentre prendeva l'occorrente per mettere su un po' di acqua e preparava una tazzina; ma niente tè corretto per lui -- non come lo intendevano gli Hastings, comunque. Quanto meno per il momento.
    «Sul nostro menù è tutto speciale.» girandosi verso di lui, gli riservò un occhiolino perché, incazzato o meno, Wren non sapeva resistere a quel genere di flirt, poi imitò la posa del professore di Hogwarts incrociando le mani di fronte a sé, quella insanguinata stretta in quella sana. «Ma posso fare un'eccezione e macchiarlo con qualcosa di più forte del semplice latte.» Non avevano whiskey o altri distillati in bella mostra, ma avevano una scorta personale nascosta da qualche parte a cui attingevano nei momenti difficili -- o al termine di lunghe giornate come quella. «In cambio della mia cortesia, ci lasci una bella recensione su WizAdvisor?» sbatté le ciglia con dolcezza, nato per quel genere di chiacchiere inutili e senza un vero scopo, il geocineta, ed era ben lieto di continuare così fino a che Will non si fosse reso conto di aver varcato la soglia di una fottutissima sala da tè e non del Testa di Porco perché, chiaro come il sole che splende sul Mediterraneo, il prof aveva decisamente sbagliato strada nel suo vagabondare per le strade di Diagon Alley, al punto da spingersi così tanto lontano dalla scuola -- e prima o poi l'avrebbe realizzato. «Arancia, cannella e cardamomo oppure albicocca, bacche di goji e melograno?» chiese infine, tornando a controllare l'acqua sul fuoco. Che c'è? Tanto valeva intrattenerlo fino alla fine, a quel punto, no? E poi era una domanda con uno scopo oben preciso: in base alla scelta avrebbe deciso se correggere l'infuso con un po' di rum o con della tequila.
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    Non poteva certo biasimare l'Hastings per l'accoglienza poco calorosa, ma d'altronde William era abituato ad essere la spina nel fianco dell'umanità. Immaginava che il ragazzo avesse programmi migliori che tenere aperto il locale per lui, ma quando alla fine l'altro si stampó un cauto sorriso sulle labbra cedendo al cancro Barrow già accomodato sullo sgabello, non si sentì affatto in colpa: era stata una giornata del cazzo per tutti, dopotutto. Talvolta bisognava essere egoisti, ed accettare i compromessi offerti da forzata educazione. «Sul nostro menù è tutto speciale.» Sarebbe stato un eccellente venditore di auto usate; se la carriera all'Aconitea non avesse fatto per lui, avrebbe avuto una professione di riserva su cui fare affidamento. «Ma posso fare un'eccezione e macchiarlo con qualcosa di più forte del semplice latte.» Portò una mano al cuore, un mezzo sorriso grato al geocineta. Non era mai stato un tipo da bevande salutari, William; le erbe gli piaceva solo fumarle, e lì finiva la sua competenza in materia. Lo sguardo scivolò morbido, apparentemente distratto, sulla mano ferita di Wren, un battito di ciglia appena percettibile e facilmente ignorabile, prima di posarsi sulle proprie dita giunte sul bancone. «In cambio della mia cortesia, ci lasci una bella recensione su WizAdvisor?» «e lo consiglierò ai miei amici» tamburelló l'indice sul legno, osservandolo mentre preparava l'occorrente. «non che abbiate bisogno di pubblicità. oggi ne avete avuta abbastanza» sorrideva, ma non sul serio. C'era un lieve angolo di sfida nella smorfia del Barrow, che fosse per dire qualcosa o non dirlo faceva poi poca differenza. Entrambe le reazioni sarebbero state una risposta sufficiente ed adeguata. «albicocca e - il resto che hai detto» la cannella gli ricordava Edith LeGrange, e quando poteva, tendeva ad evitarla. Schioccò la lingua sul palato, rimanendo in silenzio il tempo di preparazione di qualunque infuso Wren avesse deciso di propinargli - pregando silente che contenesse più alcool di natura morta - decidendosi ad aprire bocca solamente quando l'altro avesse servito il tè. «paul veniva spesso qui» commentó, guardando un punto imprecisato oltre il bancone. «lo conoscevi?» Prima che potesse valutare come rispondere, aggiunse «io si. un bravo cristo» alzò il calice e rese grazie (a Wren, grazie Wren).

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    Wren era un tipo cordiale e, soprattutto, gli piaceva avere gente intorno; sapeva benissimo di non avere un vero senso dello spazio personale ed era sempre pronto ad invadere quello altrui, con il carattere espansivo che si ritrovava; non gli piacevano i silenzi, o rimanere da solo ad annoiarsi, preferendo di gran lunga passare il suo tempo libero a impicciarsi degli affari altrui o semplicemente a infestare l'esistenza dei suoi amici e conoscenti. Era un'erbaccia difficile da sradicare, una volta che metteva radici nella vita di qualcuno.
    Eppure, aveva le sue fottutissime giornate no anche lui – il genere di giornate in cui rimanere solo non era un capriccio, quanto più una necessità: quella di quel giorno rientrava decisamente nella categoria. Era partita male (l'intera settimana, a dir la verità.) con la ricerca fallita di un sostituto per Bob ed era proseguita anche peggio, con l'arresto di Paul e il trambusto all'interno del locale; l'unica cosa che il geocineta desiderava davvero, davvero, tanto in quel momento, era rollarsi una canna, buttarsi sul divano del suo appartamento e approfittare dell'assenza di Lupe per rilassarsi come meritava.
    E invece, ovviamente, era finito ad armeggiare dietro il bancone, dopo l'orario di chiusura, per servire un tè corretto ad un membro del corpo docenti di Hogwarts: grandioso. Per sua fortuna, comunque, era davvero una persona che ricaricava le proprie energie stando in mezzo agli altri, l'Hastings, e non aveva problemi a mostrare un sorriso sincero anche quando ogni parte di lui sembrava voler gridare basta. Quindi: sorrise.
    Poi diede le spalle al professore con la scusa di dover mettere su il bollitore e roteò gli occhi verso una nuova dimensione astrale.
    «non che abbiate bisogno di pubblicità. oggi ne avete avuta abbastanza» Sorrideva anche Wren, di nuovo, quando si voltò in direzione di Barrow. Sorrideva perché i clienti andavano accolti con un bel sorriso cordiale dal momento che portavano soldi – anche quando andavano a toccare argomenti che lo special avrebbe preferito evitare; quell'espressione era ormai deformazione professionale.
    «ahimè un commento che poteva dire tutto e, allo stesso tempo, nulla: non aveva davvero voglia di parlare di quanto successo quel giorno -- di certo con Barrow che, tra l'altro, non gli aveva mai dato l'impressione di uno interessato ai gossip. «sa, di solito puntiamo su un altro genere di pubblicità.» posò gli avambracci sul banco e si avvicinò un po' al professore, abbassando la voce, «pubblicità che tende a coinvolgere meno...» politica? «drammi.» allargò le braccia, ad indicare l'intero locale. «questo posto dovrebbe essere un porto sicuro per tutti i nostri clienti, quello di oggi è stato un incidente isolato.» was it. «quindi: sì, altra pubblicità, pubblicità migliore, ci farebbe comodo.» un altro occhiolino, prima di dargli le spalle e dedicarsi al bollitore che aveva iniziato a borbottare per informarlo che l'acqua al suo interno era pronta. Afferrò dagli espositori un po' di foglie secche e qualche bacca appassita, versandole in un infusore che fece adagiare ai bordi della tazzina; poi versò l'acqua e ripeté la stessa operazione per un altro tè: già che c'era, ne approfittava anche lui.
    Una volta pronto, portò il vassoio di fronte al prof. «il segreto sta nell'attesa» così come il piacere, «tre-quattro minuti ed è pronto. nel frattempo-» si inchinò, aprendo uno degli sportelli sotto il bancone e cercando all'interno il rum per correggere le bevande. «rum delle barbados,» esordì, riemergendo con la bottiglia stretta nella mano, «il suo gusto esalta la dolcezza delle bacche e al contempo dona alla bevanda un carattere più carico e deciso.» versò un po' di liquido ambrato in entrambe le tazze, osservandolo poi amalgamarsi con l'acqua che nel frattempo aveva assunto un colore rossastro, per effetto delle goji.
    «paul veniva spesso qui» Non alzò lo sguardo dalle tazze, pur irrigidendosi involontariamente a quell'affermazione: ed ecco che tornavano a parlare di quello. Forse doveva lasciare la bottiglia di rum sul bancone: gli sarebbe servita. «lo conoscevi?» Fece spallucce, sempre dedicandosi al suo lavoro certosino. «cerco di conoscere un po' tutti i miei clienti; fa parte del mestiere.» sollevò gli infusori e li gettò nel lavello, iniziando poi a mescolare il tè prima di servirlo al professore. «e del mio carattere.» si ritrovò a riflettere per un istante, prima di abbassare gli occhi e soffiare sulla propria tazza; oltre il bordo della ceramica, poi, sussurrò «ma sì, paul era un bravo cristo era davvero un ribelle? Era stato incastrato? Aveva combinato qualcosa di scandaloso e illegale? Sinceramente a Wren non interessava: era un cliente affezionato, era un amico di sua mamma, era una persona, un essere umano. Punto. Stop. Qualunque cosa avesse combinato, l'Hastings dubitava si meritasse il trattamento riservato lui dai pavor.
    Non poté fare a meno di rivolgere lo sguardo al professore, ora incuriosito.
    «È venuto qui per il tè o per parlare di Paul, professore?» gli piaceva quel nickname, l'avrebbe tenuto. “Ma wren, è letteralmente la sua professione, quale nIcKnAMe” «whatever»
    Voleva ancora sperare che Barrow fosse finito all'Aconitea per sbaglio, ma l'ipotesi che invece fosse giunto lì in cerca di sua madre iniziava ad insinuarsi nella mente dello special; non sapeva se per conto dei ministeriali, se per curiosità, se per altri motivi: il semplice fatto che fosse lì a bere tè corretto con lui, oltre l'orario di chiusura per giunta, era già sus. «Se è in cerca di qualche gossip riguardo quanto avvenuto questo pomeriggio, io non so nulla.» e, anche in caso contrario, non avrebbe raccontato un bel niente perché era vincolato dal segreto professionale. Che c'è, mica vale solo per medici e avvocati. Volete sapere chi conosceva più segreti e pettegolezzi di chiunque altro al mondo?! I FOTTUTI BARISTI. Nessuno si preoccupava di loro, nessuno badava loro: tutti pronti ad affogare i propri drammi in litri e litri di (alcol) tè e a piangere sulla spalla di qualche amico, ignari di un Wren pronto ad ascoltare il ciarlare di chiunque. Beccatevi questa.
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    «Se è in cerca di qualche gossip riguardo quanto avvenuto questo pomeriggio, io non so nulla.» Annusò il contenuto della tazza, arcuando un sopracciglio verso il ragazzo. Omertà e lealtà erano facce della stessa medaglia, pensava il Barrow; punti di vista. A seconda di come lo si guardava, l’uno poteva diventare l’altro, come i colori iridescenti alla luce del sole. Gossip, lo chiamava lui, l’omicidio di un uomo che cercava di fare la cosa giusta. Sapeva, sentiva, non ci fosse malizia nella voce dell’Hastings, solo – del tutto legittima, tra l’altro - cautela, ma non potè impedire al sorriso di farsi più sbilenco ed amaro, una fessura che pur senza sangue sapeva di cicatrice.
    Chissà cosa si provava a vivere in quel mondo e non farsi domande, o farsene e non cercare comunque la risposta. A sopravvivere passivamente ai decreti di altri, sentendo la propria libertà una bolla sottile a stringere e costringere a più sacrifici, sempre sorrisi a denti stretti di fronte al Paul di turno trascinato via in manette. Quegli addii ingiustificati. William Yolo Barrow non era un uomo di pace, perché non credeva negli uomini di pace: li trovava superflui, per loro; non era ancora il tempo giusto, per quel tipo d’uomo lì. William era guerra, non troppo diversa da quella ch’era passata all’Aconitea rivoluzionando il quieto pomeriggio di Wren e clienti, perché si doveva passare attraverso quella per raggiungere un altro equilibrio. Chi diceva che la violenza non vincesse con la violenza, aveva vissuto nel mondo fatato troppo a lungo.
    Il Regime andava estirpato. Non era bello da dire, da pensare, da masticare fra i denti quando ti rendevi conto chi ne facesse parte, ma non doveva essere bello. Non ancora. Will sognava un mondo in cui i giornali potessero scrivere quello che volessero, in cui la cultura non era messa sotto chiave per timore diventasse troppa, in cui le sale delle torture esistevano solo nelle camere di chi lo trovasse piacevole. In cui il sangue non facesse differenza fra vivere o morire. Non gli sembrava neanche di chiedere troppo, eppure lo chiamavano un rivoluzionario.
    Un traditore.
    Per quelli che avrebbero dovuto essere fottutissimi diritti.
    «magari volevo solo assicurarmi stessi bene» si strinse nelle spalle, azzardandosi a sorseggiare il tè ancora troppo caldo per i suoi gusti. Forse avrebbe dovuto limitarsi al solo rum, liscio, come piaceva a lui, invece di fare il falso britannico con del , ma gli sembrava poco rispettoso andare a bere alcolici in una tea room. Un po’ troppo tendente all’alcolismo, per intendervi. «sei arrabbiato? meglio» Passò la lingua sul labbro inferiore, corrugando le sopracciglia all’acqua calda appena ingurgitata. Le sue papille gustative erano logorate da tabacco e alcolici, quindi ti prego a nome suo di perdonarlo per non saper apprezzare qualcosa di sano; tutto quello che faceva bene alla salute, non faceva per lui. «non mi fraintendere: non arrabbiarsi fa sopravvivere» Una pausa. La prudenza era a doppio senso, in una conversazione così complessa e delicata. Una parola sbagliata, e l’altro avrebbe potuto sbatterlo fuori e denunciarlo per simpatizzare con il nemico.
    Allora sì che sarebbe stato fottuto. «ma ha senso sopravvivere, se nel mentre non vivi affatto? La rabbia ti tiene in vita, ragazzo» Con non curanza, come avesse appena commentato il meteo, bevve un sorso di tè.
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    «magari volevo solo assicurarmi stessi bene» Un pensiero gentile, quello del professore di strategia; un gesto che spinse Wren ad abbandonare la tazza fumante sul bancone per portarsi entrambe le mani al petto ed esclamare un «awwww» pieno di sentimento. Che fosse genuina o meno (meno), la preoccupazione di Barrow aveva scaldato il cuore del geocineta più di quanto la bevanda corretta non avesse fatto col resto del suo corpo.
    «sono lusingato, professore» e no, non avrebbe smesso di chiamarlo così, «ma non c’è bisogno di preoccuparsi. Vede? Sto benissimo» mano rovinata a parte. Offrì un sorriso e un occhiolino al maggiore, per poi tornare al suo infuso.
    Dubitava seriamente che Barrow fosse giunto fin lì per assicurarsi che stesse bene, ma la parte di Wren che amava il mondo un po’ voleva crederci. Anche solo un pochino.
    Si morse l'interno della guancia: la curiosità di sapere cosa avesse spinto davvero il professore a recarsi all’Aconitea (punto. Non era decisamente il genere di posto dove si immaginava di beccarlo nelle ore libere) quella sera premeva contro la lingua per farlo cedere e domandare. Di solito era Vals che si occupava di certe questioni (e per un buon motivo.) lasciando a lui le chiacchiere futili, ma in quel momento sua mamma non c’era. «dunque-» toccava a lui fare gli onori di casa.
    Will non gliene diede tempo.
    «sei arrabbiato? meglio. non mi fraintendere: non arrabbiarsi fa sopravvivere, ma ha senso sopravvivere, se nel mentre non vivi affatto? La rabbia ti tiene in vita, ragazzo»
    Uh.
    Non era di certo quello che Wren si era aspettato di sentirsi dire.
    Inclinò la testa di lato, osservando William. Osservandolo davvero.
    Gli chiedeva se era arrabbiato? Beh, no.
    Wren era incazzato.
    E lo era da fin troppo tempo, ormai. Da mesi, da anni. Solo che aveva sempre tenuto la testa bassa ed era andato avanti per la sua strada fingendo che quella rabbia che sentiva bruciare sotto la propria pelle non gli appartenesse — era più sveglio di così, si ripeteva. Più furbo. Sapeva di non potersi permettere il lusso di essere arrabbiato, non era nella posizione adatta.
    Non lo era mai stato e, di quel passo, non lo sarebbe mai stato. Il suo sangue impuro, in più modi diversi, glielo rendeva impossibile. E, allo stesso tempo, era la causa scatenante e una delle ragioni alla base di tanta rabbia.
    Sua mamma non sarebbe stata felice di sapere che erano quel genere di pensieri che, ultimamente, affollavano la mente di Wren: “la rabbia ti porta a fare le cazzate; ti impedisce di pensare lucidamente”, gli ripeteva di continuo. Lei, lei che aveva un’aperta crociata nei confronti del mondo da più o meno quando aveva imparato a palare. Ma forse era per quello che sua mamma poteva permettersi di dirglielo: perché lei sapeva cosa volesse dire essere incazzata nera col mondo — e il suo segreto era lo stesso di Hulk: era sempre incazzata, per questo sapeva gestire se stessa senza perdere mai il controllo.
    Uh, capito la vecchia volpe.
    Invece lui no: eraun libro aperto, e vestiva le proprie emozioni con orgoglio, senza tenerle mai nascoste, mai a freno. Quello che provava, Wren lo condivideva costantemente col mondo intero.
    Era uno dei suoi difetti peggiori.
    Ad ogni modo «è un modo diverso di vedere le cose» affermò, occhi nocciola fissi in quelli chiari del prof. «sa, io sono più un lover che non un hater» non era nella sua natura rimanere serio per più di tre secondi, e quella conversazione lo stava mettendo abbastanza a disagio al punto da spingerlo ad essere un po’ più wren del solito.
    Reagiva così, quando le conversazioni o le situazioni non rientravano nelle sue zone di comfort, per così dire, o quando erano cose nuove che non sapeva come affrontare.
    Ed essere arrabbiato — no, che qualcuno riconoscesse in lui quel sentimento, era di certo una novità, per l’Hastings.
    «non sono arrabbiato» nascose il viso dietro la tazza fumante, usando il tè come diversivo, per guadagnare tempo: non era certo di sapere cosa avrebbe detto, in che termini. Sapeva solo che qualsiasi cosa detta in quello stato avrebbe portato – presumibilmente – solo guai su di sè, sul negozio e su sua mamma.
    «sono incazzato»
    Okay, then.
    Verità sia.
    «Quei palloni gonfiati si permettono di venire qui, nel mio negozio» ahem, di sua mamma, ma potato pothato, «fare una scenata, spaventare i clienti, arrestare un innocente» ammesso che lo fosse, duh, ma wren voleva (sperare) pensare di sì, «e... e....» strinse il pugno sano contro la ceramica bollente, lo sguardo distante e fisso oltre le spalle del docente. «Non è così che dovrebbero andare le cose. Il mondo. Non è giusto sapeva bene che al mondo di giustizia ce ne fosse poca, ma non lo rendeva un boccone meno amaro da mandare gù.
    Riportò lo sguardo sul Barrow dopo qualche istante di silenzio, ritrovando almeno in parte quella leggerezza nel sorriso caldo che riservava al mondo. Il suo biglietto da visita.«Se conosce qualcuno al ministero, magari può suggerirgli di cambiare un po’ la loro etichetta» perché forse, si rendeva conto solo ora, l’alcol aveva sciolto un po’ troppo la sua lingua, portandolo a dire cose che l’avrebbero fatto facilmente finire nei guai e non andava bene: sua mamma l’avrebbe preso a calci nel sedere se fosse finito nei casini per un momento di debolezza come quello.
    «le piace il tè?»
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    L’aveva lasciato sfogare, senza mostrare alcuna espressione. Stava pensando, Will – pensando se quella rabbia, per quanto giustificata, potesse davvero aiutarlo o farlo solo uccidere. Un genere di differenza che il mondo credeva non vedesse, troppo improntato a cercare soldati da far morire al fronte, ma che il Barrow pesava sempre sulla bilancia. Quella dell’Hastings, era una rabbia giovane ed inesperta, un grumo di emozioni fattosi amaro nel corso degli anni e vomitato lì, in quel momento, con quel sono incazzato. E con il conclusivo, soffiato e condiscendente, «Non è così che dovrebbero andare le cose. Il mondo. Non è giusto.» Picchiettò pollice ed indice sul bordo della tazza, bisbigliando un sottile «no, non lo è.» riflessivo e pacato, gli occhi posati sulla superficie ambrata – ma non nel modo in cui l’avrebbe preferita William – della bevanda stretta fra le mani. Abbozzò un sorriso al pallido tentativo del geocineta di mettere una pezza sullo sfogo, perché con quel viso pulito e quegli occhi da cerbiatto, qualcun altro gli avrebbe anche creduto. Non William, ma qualcuno che non conosceva quel tipo di rancore, quello che nasceva dall’ingiustizia e dall’incapacità di fare qualcosa? Per quella persona, sarebbe stato facile farsi scivolare addosso le parole arrabbiate del ragazzo. «la mia futura moglie, in effetti» alzò la tazza in un brindisi, perché era sempre un buon momento per ricordare all’universo che avesse messo un anello al dito di Akelei Beaumont – anche quello, in cui i loro mondi cozzavano inevitabilmente e drasticamente. «io? eh» aspirò l’aria fra i denti, alzando gli occhi ed un sorriso al moro dietro il bancone. «mai stato un grande ammiratore dell’etichetta» roteò la ceramica fra i palmi, arcuando entrambe le sopracciglia. «un sovversivo, potremmo dire» alzò le spalle. «sempre usato la forchetta da insalata per le bistecche» Fece una pausa. Non intenzionale, nessun tipo di costruita suspense, solo atta a dargli il tempo di tirarsi indietro, se avesse voluto.
    Quella non era una conversazione sulle etichette.
    «e va bene uguale. Tante persone usano la forchetta sbagliata, e non piegano il tovagliolo nel modo voluto convenzionale dalla società. Qualcuno deve pur farlo, no?»
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    basta mia mamma è stata via tutto il giorno e continua a parlarmi e non me ne frega niente. ha pure acceso la tv. te lo becchi così il post . ciao
     
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    Non era l’attrezzo più affilato della cassetta, Wren — non aveva mai sostenuto di esserlo. Era troppo onesto, con gli altri e con se stesso, per non conoscere i propri limiti; ma era anche bravo a sapere sempre come farne un buon uso, come sfruttarli affinché fossero un pregio e non un difetto.
    CIò non toglieva che fosse poco acuto, e che spesso aveva bisogno che le cose gli venissero spiegate più di una volta (e possibilmente in altre parole e termini, altrimenti avrebbe continuato a non capire) prima che l’interruttore nella sua testolina messa a dura prova dall droghe scattasse e gli permettesse di *scintilla* illuminarsi *scintilla*
    La piega che stava prendendo la conversazione con Barrow rientrava esattamente nel genere di situazioni in cui Wren si sentiva come nel meme di Homer Simpson: la testa vuota, riempita solo da una scimmia tonta che suonav- male - i piatti in una cacofonia disumana. C’era disordine nei suoi pensieri, e troppo poco spazio per trovare il punto da cui partire per riordinarli. Perché se stavano parlando di quello che Wren immaginava stessero parlando, c’era un problema.
    Un fottutissimo, enorme, gigantesco problema: Wren voleva saperne di più.
    La Resistenza era sempre esistita nella sua vita, seppur in maniera periferica per volontà di Vals, che non aveva mai permesso alla loro causa di insediarsi nelle fessure di quella famiglia già problematica e allargarle fino a che non avessero compromesso del tutto la stabilità della famiglia stessa. E Wren, figlio adorato e adorante, non aveva mai lasciato che simili pensieri gettassero un’ombra del genere sul rapporto con la Hastings Sr. Era impensabile. E poi, Vals aveva ragione... Non doveva immischiarsi... Avevano già tanti problemi... Lui era un problema... Perché accolarsi anche quelli di altri... Poteva abbassare la testa e fingere come aveva fatto fino a quel giorno... Poteva sorridere a Barrow e congratularsi per le future nozze (cosa che fece comunque, sollevando la tazza con un sentito «congratulazioni allora!» perché non era un maleducato......!) e chiudere lì la questiona.
    Poteva fingere di non essere confuso (e intrigato) da quella conversazione su posate e galateo e buttarla sul ridere, con una delle sue solite, stupide, battute.
    Ma non lo fece.
    Soppesò invece le parole di William Barrow e lo osservò come raramente aveva osservato qualcuno prima. JD e North avevano cambiato, volente o nolente, le cose anche per lui. Non riusciva a convinversi della favoletta che si raccontava, secondo la quale tutto sarebbe tornato alla normalità, bastava solo continuare con la propria vita.
    Quel treno ormai era già passato da un pezzo, e Wren era rimasto fermo sulla banchina ad osservarlo mentre se ne andava. Non era arrivato in ridato; aveva scelto di non prenderlo.
    Così come ora stava scegliendo di prendere uno dei bigliettini da visita che teneva nel registratore di cassa, per allungarlo poi in direzione del professore.
    Non pubblicizzava l’Aconitea, non proprio: era un biglietto incantato da sua mamma che garantiva l’accesso alla Sala Verde, una sala nascosta ricavata in un locale (segreto e) annesso alla sala da te. Era uno dei tanti segreti (e problemi) di Valerie Eloise Hastings. Wren aveva decretato che l’uomo fosse idoneo per ricevere l’invito riservato solo ai clienti più affezionati, e agli amici stretti. Picchiettò con l’indice sulla scritta in corsivo, Gloriosa superba, gli occhi incollati in quelli azzurrissimi del docente. «Questo posto è per le persone anticonvenzionali,» come lui, come loro, «e decisamente più adatto a conversazioni -» di un certo tipo «- sulle buone maniere.»
    Perché se Wren aveva capito, capito davvero, quello che Will pareva offrire non poteva di certo essere discusso , nonostante l’Aconitea fosse vuota fatta eccezione per lo special e la sua attuale compagnia. Meglio non rischiare; la Sala Verde aveva tutti gli incantesimi di protezione che Vals e sua nonna erano riuscite a tirare su, ed era il posto in cui Wren si sentiva più al sicuro.
    Non lo era nemmeno lontanamente, e fingere che fosse così era solo un’illusione per sentirsi più tranquillo, ma era comunque più sicuro del bancone del locale. Lasciò il biglietto a porta di mano, drizzando la schiena e prendendo le distanze: era un salto nel.. Beh, non buissimo, ecco. Nella penombra, diciamo. Wren voleva fidarsi di Barrow e, soprattutto, moriva dalla voglia di continuare quella chiacchierata.
    Offrire la Sala Verde gli era sembrata l’unica soluzione al problema.
    «Vogliamo andare? Porto la bottiglia, può decidere lei quale.» Non si dicesse che non fosse un ottimo padrone di casa!!
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    non posso rileggere sono di fretta MA HO UNA MOTIVAZIONE VALIDISSIMA te lo becchi raw and unfiltered così come l'ho pensato

    E niente mi sa che ne possiamo chiudere un'altra?!?!! SANDI DAVVERO FOR THE WIN!1!1!1!
     
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