baby how was i supposed to know?

libera | londra (darden ft. jericho)

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    Darden abbassò lo sguardo sulle proprie braccia, ancora fasciate da una benda fin troppo lenta e macchiata di sangue dove le ferite più profonde erano situate. Probabilmente avrebbe dovuto prestarci più attenzione, cambiare la fasciatura o qualcosa del genere che prevenisse un’infezione. Scosse la testa, le dita a stringersi sul bicchiere fino a che non sentì il vetro sotto la mano cominciare a cedere alla pressione: l’avevano trasformata in uno scherzo della natura, dubitava potesse ammalarsi per così poco. Avrebbe potuto alterare il suo flusso sanguigno per rallentare la perdita di sangue, ma il pensiero di smuovere qualsiasi cosa avessero impiantato dentro di lei la disgustava, lo stomaco a contorcersi come quando riceveva un pugno in pancia. Non era il fatto di essere diventata, che l’avessero trasformata, in una special a disgustarla ma il potere malato e perverso che si era fatto strada tra le sue ossa, tra le sue viscere fino a che non aveva trovato una casa dentro il suo sangue. Manipolazione del sangue, l’avevano chiamata, i dottori si erano assicurati di studiarla da vicino, portando la Larson al limite ancora ed ancora per testare di cosa fosse capace. Era uno dei pochi soggetti ad aver sviluppato quel potere in quel laboratorio, e i dottori amavano una cavia nuova e scintillante almeno quanto la Larson avrebbe amato usare uno dei suoi coltellini per farli a brandelli. Aveva ripetuto la scena nell’anticamera della sua mente per mesi, anni, nonostante non avesse né armi né la forza di alzare il capo dal lettino. I primi mesi erano stati i peggiori -o forse era stato di più? Era difficile tenere conto del tempo- rinchiusa in una stanza dove nemmeno la luce artificiale del neon filtrava dalla porta, una coperta e un cuscino a farle compagnia mentre era costretta a mangiare con le mani. Le avevano tolto le posate dopo che aveva tentato di scappare per la seconda volta, alla quarta l’avevano sbattuta direttamente in quel buco nero. Darden si era messa a ridere, una risata isterica che era partita dalla pancia e aveva scosso tutto il corpo. Fino a che la Larson non aveva realizzato che quel tremore erano singhiozzi intrappolato nel petto: tanti piccoli lamenti che si contorcevano in gola e che graffiavano la gola come carta vetrata tentando di scappare. Ma Darden era meglio di così, non sarebbe stato il castello di carte a crollare al più lieve soffio di vento- cos’era qualche giorno al buio? Non era una bambina, non aveva paura del mostro sotto al letto.
    I dottori l’avevano chiusa lì per vederla implodere su se stessa, per ridurla ad un animale ammansito che si sarebbe lasciato condurre al mattatoio senza opporsi.
    E poi erano iniziate le allucinazioni, i disturbi del sonno.
    Aveva perso la cognizione del tempo, la Larson, ogni volta che apriva gli occhi le sembravano essere passati pochi minuti da quando si era sdraiata. Nemmeno avere tre pasti al giorno aiutava, non quando presentavano tutti la stessa varietà di cibi. La nota positiva era che si era fatta un amico, Darden non aveva idea di come si chiamasse, ma ogni tanto il bambino la veniva a trovare nella cella. Non parlava mai, si limitava ad osservarla mantenendo le distanze, e spesso era lì solo per un battito di ciglia. Eppure, la ragazza percepiva la sua presenza nel buio della stanza, e aveva preso a parlargli quando la solitudine diventava troppa da reggere.
    Darden era convinta che l’avrebbero tenuta lì per sempre, fino a che un giorno sentì il rumore di passi dirigersi verso la sua cella, lo scatto di una chiave nella serratura.
    Forse sarebbe stato meglio marcire lì dentro.
    La Larson portò il bicchiere alle labbra, il liquido ghiacciato come un balsamo per un corpo che non beveva da fin troppo tempo. Doveva essere qualcosa di alcolico perché quando scivolò in gola ne sentì il tipico bruciore, ma poco importava visto che le era stato offerto. Si distrasse ad origliare le conversazioni dei clienti attorno a lei, qualsiasi cosa che distrasse la mente dal continuo pulsare delle ferite sotto le bende. Erano ovunque, alcune ancora fresche e nascoste sotto i vestiti, altre ormai vecchie e guarite in linee precise e pulite. A Phillip -anche se dubitava fosse il suo vero nome- piaceva così, risparmiare le loro risorse per far allenare la Larson a manipolare il proprio sangue. Dopotutto, non era come se avessero una scorta illimitata di sangue come dei Cullen qualsiasi. Ogni tanto le facevano usare quello delle persone che non ce l’avevano fatta, ma persino la dottoressa non era entusiasta all’idea.
    Probabilmente Darden non avrebbe dovuto continuare a bere, ma più stava ferma lì e più i ricordi che aveva cercato di sopprimere venivano a galla. Forse, se sarebbe stata fortunata avrebbe anche trovato un posto dove passare la notte. Era scappata da poco dal laboratorio, e se da una parte era paranoica che la venissero a prendere per trascinarla di nuovo dentro, dall’altra voleva fidarsi della dottoressa Phillip. Non perché avessero qualche tipo rapporto e la Larson fosse legittimata a credere alla sua parole, ma aveva il presentimento che tra persone di merda ci si capisse.
    Bastò poco a fare ubriacare l’ex grifondoro, o meglio lei si definiva dignitosamente brilla, non aveva idea di chi continuasse a comprarle i cocktail ma as qualcuno senza soldi apprezzava molto. Per la prima volta in anni si sentì leggera e felice, un sentimento che non credeva nemmeno di riuscire più ad emulare, e fu in un momento di follia che rubò il microfono e il cappello da cowboy a un signore a caso. Sì, perché con tutti i bar che c’erano, Darden aveva scelto un bar a tema far west dove ci si poteva esibire in cover country delle più grandi hits. O meglio, era un karaoke dei poveri, ma contava il sentimento. «Oh baby, baby» la Larson barcollò sul palco, cominciando a cantare mentre si reggeva all'asta «how was I supposed to know that something wasn't right here?» non era la cantante più brava del mondo, ma di certo era una miglior performer di Liam Payne. Continuò a cantare, esibendosi in un balletto country che probabilmente stava aprendo ogni ferita che aveva sul corpo, ma era troppo brilla (perché probabilmente le avevano drogato il cocktail) per registrare il dolore. Fu proprio nel coro, il clou di tutta l'esibizione, che decise di lanciarsi dal palco e nelle braccia dei suoi più grandi fan.
    E cadde come corpo morto, cade.



    doveva essere una cosa allegra chissà cos'è successo. vi basta leggere la fine tbh
     
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    Com’era giusto che fosse. Com’era sensato, e doveroso, e come un minimo di buon senso dettasse. Tutti avevano un buon motivo per temere Jericho Karma Lowell, fosse per l’accoltellata facile, il dito leggero sul grilletto, o il potere che le permetteva d’insinuarsi nelle mentre altrui e crearsi un impero, ma diciamocelo: Darden Larson, un po’ di più. Quando se n’era andata, le aveva promesso un proiettile con sopra il suo nome. La fu Grifondoro non era mai stata tipo da metafore o analogie, e di certo non sprecava il proprio tempo in minacce vane – ce l’aveva davvero, quel piccolo piombino con su scritto Darden. Ne aveva più di uno, perché ogni volta che ci pensava (se lo aveste chiesto a lei, avrebbe detto mai; avrebbe anche aggiunto che non conosceva nessuna Darden, che nome di merda poi. Purtroppo, il tempo che ancora dedicava ad odiare la Larson, diceva più di quanto Jericho fosse disposta ad ammettere) si sentiva montare da una rabbia nuova, sempre fresca. Quando sembrava scemare, ricordava il giorno in cui si era presentata fuori dalla sua porta, attendendo per ore, o quelle che parvero tali, che la Lowell le aprisse la porta. La tacita promessa che sarebbe rimasta, quella volta.
    E Jericho, che stupida, evidentemente, ci era nata, ci aveva creduto. Di nuovo. E Darden se n’era andata. Di nuovo. Cristo santo, quel livello di idiozia non avrebbe dovuto essere legale, ma la Lowell si rifiutava di odiare se stessa. Dopo anni in cui non aveva fatto altro, non voleva più. Il che, in breve, significava che la Larson si beccava una furia raddoppiata. Triplicata. Quadruplicata. Aveva bandito il nome della ragazza dalla sua vita, accoltellato chiunque avesse provato a nominarla. Aveva odiato, gratuitamente e senza impegno, tutti i Withpotatoes, serbando rancore perfino per Gemes. Aveva detestato per anni, a distanza ma con ferocia, i due piccoletti che Darden si era portata appresso dalla stra cazzo di Bodie, California, millenovecentostracazzodiciassette.
    E ora era lì.
    Non sapeva da quanto tempo la stesse guardando, ma era abbastanza da essere certa fosse lei, e non qualcuno con la sua faccia (non sarebbe stata la prima volta) o che le assomigliasse particolarmente (non sarebbe stata neanche una seconda volta). Vorrei dire che fosse stato il destino a portarla lì, l’olezzo, le stelle allineate per condurla alla tanto bramata vendetta, e probabilmente ai posteri – o agli ufficiali di polizia che l’avessero interrogata e schedata – avrebbe raccontato esattamente quello. D’altronde, che figura avrebbe fatto a far sapere che stesse cazzeggiando su Wizstagram, e che spiando le storie di perfetti sconosciuti (quelli ancora seduti in fondo al bar per la precisione; forse era un addio al nubilato) avesse riconosciuto la sagoma familiare della Larson al bancone, e tanto fosse bastato per farla scattare sull’attenti ed uscire nell’immediato. Aveva una reputazione. Poteva ancora rigirarsela dicendo che stesse seguendo delle piste, che meritasse di versare il suo sangue, che stesse aspettando quel momento da anni, ma le dava un’aria stalkish che poco le si addiceva, e soprattutto, non voleva darle tutta quella importanza.
    Non la aveva.
    La odiava.
    E se anche si fosse premurata che i vestiti e i capelli fossero a posto e il rossetto nero impeccabile (ipoteticamente. io mi sveglio così kind of thing.). E SE ANCHE! Non sarebbe stato affare vostro, quindi. Quello che invece vi interessava sapere, era che Jericho fosse armata.
    Pesantemente. Aveva praticamente un arsenale. Nelle tasche dei pantaloni, aveva almeno - almeno - quindici proiettili, tutti con su scritto il nome di Darden, ed una semi automatica incastrata fra l’elastico e la schiena. Un pugnale all’interno della giacca. Cinque coltellini da lancio legati in vita. Un filo metallico in tasca.
    Ed il cuore spezzato in gola - l’arma peggiore di tutti. C’era solo una cosa peggiore di una donna tradita. BOOOM! Gasps Jericho.
    Sì. Esatto. Jericho Fuckin Karma Fuckin Lowell, giunta infine per prendere pegno e saldare il debito.
    La vide alzarsi.
    Si premurò di fare un passo all’indietro, celandosi nelle ombre. Non l’avrebbe vista, ed al contempo, se avesse deciso di uscire, la Lowell l’avrebbe saputo. La guardò salire sul palco, passi incerti e barcollanti. Corrugò le sopracciglia. È ubriaca. E strinse le labbra fra loro, gli occhi ad arrampicarsi su qualcuno a cui si era sforzata, ed obbligata, e pregata di non pensare negli ultimi anni, rendendosi conto che non fosse solo l’alcool a impedirne i movimenti.
    Qualcosa non andava.
    Ma che cazzo te ne frega, Jericho.
    La ascoltò mettersi in imbarazzo cantando Britney Spears davanti a tutti. Il pensiero di filmarla e mandare il video all’Hamilton la tentò, non lo nego, ma non voleva: se Gemes sapeva che Darden era tornata in città, e non gliel’aveva detto, per lei era morto; se Gemes non sapeva che Darden fosse tornata in città, non sarebbe stata lei a dirglielo.
    Quel momento
    - solo quel momento -
    Lo voleva ancora per sé.
    … E poi a quale pro dirglielo, se poi avesse solo scoperto un altro cadavere di famiglia su cui piangere.
    Si mosse solo quando la vide lanciarsi sulla folla, uno scatto in avanti abbastanza veloce da spingere lontano chiunque si fosse trovato sulla traiettoria per prenderla. Rimase immobile a guardarla mentre si schiantava al suolo ai suoi piedi.
    Il posto che meritava.
    Avrebbe voluto sorridere, ma – pensa – non era divertente neanche un po’.
    Le mise un piede addosso, non abbastanza per schiacciarla, ma abbastanza da impedirle di andarsene (di nuovo) e sollevò la giacca quanto bastava per mostrarle le decine di lame che attendevano solo un assaggio del suo – «sangue» Jericho reclinò il capo sulla spalla, osservando le macchie cremisi allargarsi sul tessuto degli abiti della Larson.
    La odiava.
    Doveva esserne felice.
    Si disse che quello fosse il suo momento, e qualcuno gliel’avesse rubato. Che non avrebbe permesso a nessuno di prendersi i suoi meritati, sudati, trionfi. Che solo per quello, fosse arrabbiata.
    E si disse anche che incrociandone lo sguardo, non avesse sentito il proprio cuore saltare un battito, e lo sguardo farsi distante ed ancora - sempre - deluso.
    Jericho e Darden non erano mai state una coppia. Forse, avrebbero potuto. Forse, se fosse rimasta – se non se ne fosse andata – se fossero state meno testarde – se, se. E facevano male, quei se, ma non quanto quello che davvero avevano avuto. Concreto. Tangibile. Prima che fossero quasi qualcosa, erano state amiche.
    Non poteva vantarne molte, Jericho Karma Lowell. Quello, era stato il tradimento più grande.
    «puzzi già di morto» Strinse le parole fra i denti. Se avesse lasciato loro troppo spazio, sarebbero diventate altro, e non voleva lo facessero. Voleva che fossero parole d’accusa, quelle. Pregne di rabbia e sdegno. Non avrebbe permesso diversamente. «chi cazzo mi ha rubato il lavoro.»





    tiè. pensavi di scampartela? eppure... non è così :-) baci.
     
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    Con il senno di poi, Darden avrebbe dovuto aspettarselo. Non importava bene a cosa si riferisse perché una qualsiasi dei casi che le venivano alla mente era valido. Jericho che era venuta a finire il lavoro come le aveva promesso più di una volta, il fatto che sarebbe probabilmente morta dissanguata in tutti gli scenari. Non registrò la caduta fino a che il corpo non si trovò disteso sul pavimento, la nuca a sbattere violentemente contro le piastrelle. Se non fosse stata brilla e con dolori ben peggiori in corpo, si sarebbe preoccupata maggiormente della possibilità di essersi aperta la testa o almeno di una commozione cerebrale. Dopotutto, il fatto che il soffitto stesse girando vorticosamente sopra di lei era un qualcosa che aveva sperimentato anche prima della caduta. Incominciò a farsi due domande solo quando la faccia di un angelo comparì dal cielo.
    Sbatté le palpebre per mettere a fuoco la figura e-
    Forse si era sbagliata, perché quello non era affatto un angelo.
    «ti sei fatta male?»
    Un momento di silenzio.
    Un sorriso di pure bliss a distendersi sul suo volto, lo sguardo perso nel vuoto e unfocused.
    Darden Larson stava delirando.
    «quando sei risalita dall’inferno, intendo»
    Jericho non sembrò apprezzare la sua pick-up line, a giudicare da come le mise un piede addosso, applicando abbastanza pressione che era impossibile alzarsi per la Larson. In una situazione diversa sarebbe stato facile ribaltare le situazione, afferrare la gamba della special e intrappolarla sotto di lei. Peccato che fosse sull'orlo di una sincope, e gli arti non funzionavano come avrebbero dovuto. E poi, aveva visto le lame della Lowell, sapeva che le avrebbe usate per metterla a tacere se solo ci avesse provato. Non che avesse paura della special, ma era troppo provata per combattere una battaglia già persa. «sangue» uh? Che sangue? Ci mise più del dovuto a realizzare che con tutta probabilità era il suo di sangue. Ci era talmente abituata che ormai non si scomponeva più. «questo?» scrollò le spalle, per quanto le fosse possibile, chiudendo gli occhi per un attimo: era così stanca. «non è niente, dovresti vedere gli altri» quella che sarebbe stata una terribile pick-up line -e magari lo era, una Larson dignitosamente brilla tendeva a tirarle fuori nei momenti meno opportuni- in qualsiasi altro momento, nascondeva una verità cruenta. Di come qualcuno avesse seminato il panico del laboratorio liberando gli special, di come Darden ne avesse approfittato per vestire i panni del karma e lasciarsi dietro qualche corpo nella sua fuga. Non era riuscita a trovare la Dottoressa e colei che l’aveva rapita, ma era questione di tempo. «chi cazzo mi ha rubato il lavoro» ah, come le era mancata. Non era il benvenuto che sperava, ma sapeva di non meritare molto dopo essere sparita per anni. Di nuovo. «troppo tardi, ci hanno pensato i dottori» era quasi divertente, uno scherzo perverso del karma. Non si sarebbe soffermata sulla promessa fatta a Jericho, o di come per quanto provasse a rimanere, c'era sempre una forza esterna che trovava il modo di mettergliela in culo. «ma se vuoi finire il lavoro non penso che sia il posto adatto» spostò lo sguardo da Jericho al piede che era ancora saldamente piantato sul suo petto, un silente invito a lasciarla alzare. Non le avrebbe negato la possibilità di piantarle una lama in corpo, Dio sapeva quanto se la meritava, quanto si sentisse una merda, ma non nel bel mezzo del locale.

     
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    Odiava tutto di quel momento.
    Odiava che l’avesse aspettato. Odiava che per anni, prima di addormentarsi, non avesse fatto altro che immaginarlo - e che addormentandosi, lo scenario cambiasse. I contorni più morbidi, la rabbia meno feroce, la crudeltà con cui approcciava ogni cosa ormai liquida, la stretta fra i capelli meno violenta. Detestava ogni singolo, fottuto, istante a scivolarle fra le dita, da quella patetica frase d’approccio, a quel ridicolo mezzo sorriso ad aleggiare sulle labbra della Larson, per concludere con quell’insensato, ingiustificato, delirante saltello del fiato incastrato fra i denti. Non era giusto. Non era corretto su nessun fronte, il sollievo ad alleggerire le spalle di Jericho. Così poco onesto che si sentì obbligata a premere un po’ di più la scarpa su Darden, dove faceva un po’ più male, perché quello era il modo che la telepate aveva di reagire alle cose che non capiva.
    Infuriandosi. Persone, oggetti, fottuto mondo intero, nessuno era salvo dalla rabbia grezza della fu Grifondoro, ben contenta di abbandonarsi a vecchie abitudini e flusso immorale di coscienza. «questo? non è niente, dovresti vedere gli altri» boohoo, dovresti vedere gli altri, ma «vaffanculo» sibilato a denti così stretti da far male, gli occhi ridotti ad una fessura tagliente quanto le lame in bella mostra sotto la giacca socchiusa. Che cazzo di risposta di merda era? Quali altri? Cosa - «troppo tardi, ci hanno pensato i dottori» A rubarle il lavoro? Reclinò il capo sulla spalla, permettendo allo sguardo di farsi, almeno in parte, curioso. Era più facile guardarla immaginandola caso clinico, distante da lei. Un oggetto di cui dovesse studiarne le differenze, cercando gli angoli smussati e le crepe prima inesistenti. Senza ricordare, senza pensare, senza alcuna emozione che non fosse strettamente legata al pragmatismo del fare qualcosa. Non le veniva così difficile, non fare le cose. «non ho capito» perché non era mai stata brava a mentire, Jericho. Nè a fingere, neanche quando avrebbe potuto e dovuto. Trasparente ed affilata come vetro, ma incapace del freddo che il materiale portava con sé. Era sempre tutto tanto, e troppo, mal compresso in un paio d’occhi blu e la linea dura delle labbra dipinte di nero. Non teneva un cazzo per sé, neanche quando rischiava di farla apparire stupida, o peggio, interessata. Quello era uno dei motivi, insieme all’essere una permalosa testa di cazzo, per la quale non era tornata a lavorare al Ministero dopo la riforma che le avrebbe permesso di riavere il distintivo: non era fatta per i giochi politici e le pugnalate alla schiena; i coltelli della Lowell, passavano tutti dallo sterno.
    «ma se vuoi finire il lavoro non penso che sia il posto adatto» Seguì gli occhi di Darden sul proprio piede, riallacciando poi lo sguardo sul volto di lei. Corrugò le sopracciglia, preferendo l’ostilità alle guance ad avvampare, perché c’era un luogo ed un momento per ogni cosa, e quello non era adatto per più motivi. In primis, il fatto che stesse efficacemente minacciando di ucciderla - e c’era il dettaglio infimo su come Darden sembrasse già avere un piede nella fossa.
    Insomma. Davvero non opportuno. «e me non fotte un cazzo di quelli che pensi» per principio, schiacciò un altro po’ la ragazza a terra, ignorando i sussurri e borbottii del cerchio di persone attorno a loro. CHE PALLE CAZZO, MA NON AVEVANO FATTI LORO DA FARE? ODIAVA CHE DARDEN AVESSE RAGIONE! LO ODIAVA! Chiuse gli occhi, inspirando secca dalle narici.
    Avrebbe potuto usare il suo potere per annebbiare le menti dei presenti, e fare quello che cazzo voleva.
    Avrebbe potuto uccidere Darden lì, sul posto, prima che chiunque di loro potesse pronunciare una sola fottuta vocale, ed andarsene soddisfatta.
    Invece tolse la scarpa, pestando il pavimento con più forza del necessario. Non le offrì una mano per alzarsi. Vaffanculo. «io in ospedale non ti ci porto.» chiarì, caso mai nel tempo passato distante, avesse idealizzato la sua figura credendola logica e razionale. Lanciò una breve occhiata allo stato, deplorevole, di Darden, e spostò poi gli occhi chiari sul tizio dietro il bancone. Nessuno dei presenti aveva azzardato una sola mossa nella loro direzione, e per quanto il suo ego avrebbe voluto farle credere fosse per paura, sapeva che in realtà… fossero solo curiosi. Volessero vedere come andasse a finire.
    Chissà. Magari ripensarci in momenti del tutto non opportuni, come scadente materiale recuperato su siti porno.
    Arricciò il naso, saldando le protezioni attorno alla propria mente, perché non voleva sapere. Neanche per errore. «ce l’avete una cassetta del pronto soccorso. E una bottiglia di tequila» che non avrebbe usato per disinfettare, caso mai ve lo steste chiedendo. «paga lei.» indicò con un cenno del capo la morente Larson, senza girarsi a guardarla. Erano CAZZI SUOI se aveva chiesto UNA CASSETTA DEL PRONTO SOCCORSO, e non aveva ASSOLUTAMENTE NULLA A CHE FARE CON LEI. VAFFANCULO.

     
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    Darden avrebbe voluto essere più sobria, meno spaesata dai suoi dintorni e dai contorni del volto di Jericho. O forse no, perché non era sicura di come l’avrebbe affrontata. Almeno così poteva lasciarsi trasportare da quello che succedeva, non pensare troppo intensamente alla sua imminente morte. Forse un po’ se la meritava, non avrebbe biasimato Jericho, o qualsiasi altra persona in realtà. La sua famiglia, in primis- se non fossero state tutte merde e fossero sparite per un periodo indefinito nella loro vita. Per il momento, la strategia della Larson era: fake it till you make it. Fingersi vagamente presente, non come se la caduta dal palco le avesse definitivamente dato il colpo di grazia. Almeno, almeno non aveva ancora approcciato nessuno dal nulla e iniziato a flirtare senza riguardo per il domani. Quando Jericho premette la suola della scarpa un po’ più forte, dovette appellarsi a una forza maggiore per non incitarla a calpestarla di più. Aveva dei fetish strani, la Larson, ma non c’era cosa che amava di più di una donna che usava la violenza. In a kinky way, ma accettava anche gli omicidi. «non ho capito» ah, Darden avrebbe dovuto ricordarsi che Jericho non era fatta per le sottigliezze. Era per quello che si erano sempre capite su un livello più profondo, perché non si sprecavano a iniziare giochi le cui le regole cambiavano a ogni passo. Ed ecco perché sarebbe dovuta essere più diretta, ma con l’alcol a circolare nel sangue e un probabile trauma cranico era difficile mettere una parola dietro l’altra. Ci sarebbe stato tempo, sperava, per chiarire. «e me non fotte un cazzo di quelli che pensi» si rendeva conto che era il momento sbagliato, che non avrebbe dovuto trovare quelle parole così attraenti, ma non aveva mai professato di essere normale. «ok, ok va bene. ma basta schiacciarmi» andava bene un po’ di sano step on me, ma stava diventando troppo per la Larson. Strinse la mano attorno alla caviglia di Jericho, cercando per quanto potesse di togliere la pressione da sé. Alla fine, la special sembrò cogliere il messaggio perché tolse da sola il piede. «io in ospedale non ti ci porto.» Darden chiuse per un momento gli occhi, abbozzando a un sorriso amaro. Ma per chi l’aveva presa? Darden non era il tipo da chiedere la carità a nessuno, se doveva ci sarebbe arrivata trascinandosi per i gomiti all’ospedale. Non che ci sarebbe stato nessun ospedale involved, la sola immagine mentale le faceva salire la bile in gola. Poteva quasi sentire l’odore di difettante a pungerle le narici, il candore dell’ambiente sterile a bruciarle le retine mentre veniva aperta. Al tirarsi sù da terra, sentì le ferite sull’addome tirare nuovamente. Strinse le labbra per evitare di lasciarsi scappare un gemito di dolore, la mano volò istintivamente sul suo fianco ad assicurarsi che la fasciatura fosse salda. Era una cazzo di sacca di sangue e alcol, che cazzo di situazione di merda. Prima di alzarsi da terra aspettò che la stanza smettesse di girare attorno a lei, e aspettò ancora. Mh, interessante, forse non avrebbe mai smesso di girare. Scorse Jericho che si allontanava lei, ed in una improvvisa fitta di panico si precipitò ad alzarsi per paura che se ne andasse. Se una donna poco distante non l’avesse tenuta per il braccio, sarebbe caduta nuovamente. Non chiamò dietro alla Lowell, perché Darden non era caduta così in basso, ma cercò di affrettarsi a seguirla. Si sentì molto stupida qualche momento dopo, quando si rese conto che Jericho si era semplicemente diretta al bancone. «uh- ops?» un commento molto intelligente, ma cosa ci si aspettava in quelle condizioni. «ce l’avete una cassetta del pronto soccorso. E una bottiglia di tequila. Paga lei.» la Larson la osservò di sottecchi, sollevando un sopracciglio- lo sapeva, vero, che era povera come la merda? Appena uscita da un laboratorio? Sarebbe stato un problema della Darden del futuro, era troppo stanca per pensarci. «tequila liscia? senti nicolai, mettici anche del sale e limone» no, non aveva idea di come si chiamasse il bartender, ma aveva la faccia da Nicolai. Con quei capelloni e l’orecchino da pirata le stava pure vagamente simpatico, un qualcosa di più unico che raro per la Larson. «dopo ti do il resto, per ora fattelo bastare» sbatté sul bancone qualche galeone, non era stata a contarli ma di certo non erano la cifra adatta, e afferrò il lime e il sale. La bottiglia e il kit, invece, li lasciava a chi era più sobrio di lei. Seguì la Lowell verso- verso dove? Non ci vedeva molto bene, se doveva essere onesta, quindi si buttò su qualsiasi cosa avesse trovato la special. «posso fare io» si offrì, indicando la cassetta poggiata sul tavolino, ma nel sollevare la mano in aria si rese conto del tremore che la percorreva. Strinse la mano in un pugno, riportandola sulla superficie metallica per nascondere il tremore. Non aveva bisogno della pietà di nessuno. Le ferite erano ovunque, dal sangue coagulato sotto la superficie della pelle alle protuberanze che si estendevano lungo il suo corpo da cicatrici malformate. Quello che più la preoccupava erano le incisioni che ancora non si erano chiuse, alcune più importanti di altre, e che con ogni movimento le ricordavano della loro presenza. Jericho l’aveva portata in un posto abbastanza isolato, dove la folla di persone non poteva vedere troppo di quello che stava accadendo, quindi si sentì legittimata a sfilarsi la maglia. Ignorò come sembro attaccarsi alla pelle in alcuni punti, e la buttò da qualche parte sul tavolo. «ah, fantastico» del tutto ironica, la piega che curvò le labbra, mentre le dita andavano a distendere la pelle dell’addome per poter vedere meglio le fasciature. Come si aspettava, il bianco della garza era macchiato cremisi. Alzò per un momento lo sguardo sulla figura di Jericho, la tentativa placidità che aveva cercato di mantenere a sfaldarsi lentamente. Si umettò le labbra, prendendosi un momento per soppesare le sue parole «mi hanno rapita. sono stata nei laboratori per tutto questo tempo» per un momento, i suoi pensieri si spostarono sul volto della ragazza che l’aveva trascinata dei laboratori, un moto di rabbia a bruciarle il petto come acido «non so cosa mi abbiano fatto ma-» esitò per un momento, lo sguardo celeste della Larson a scivolare sul tavolo, le sopracciglia aggrottate «non sento più niente, nessuna magia» e se la voce si fece un po’ più roca, di certo la Larson non vi diede peso. Sentiva di aver perso una parte di sé, che qualcuno avesse scavato dentro di lei e avesse strappato un pezzo integrante della sua identità. Una voragine, un inutile scheletro da cui avevano preso e preso fino a che non era rimasto niente. Darden conosceva la storia di Jericho, sapeva che ne era stata vittima anche lei. Voleva sapere come aveva fatto ad accettarlo, a uscire da quella spirale che sembrava volerla trascinare giù ad ogni respiro mozzato.



    Edited by ambitchous - 14/3/2023, 00:45
     
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    Era ancora arrabbiata. Contava di rimanere nella sua furia per almeno un altro paio d’anni, ma non significava che nel mentre non potesse tentare di preservare l’oggetto della sua ira. Doveva pur odiare qualcuno, e chi meglio di Darden poteva candidarsi ad un ruolo così delicato? Aveva tutte le competenze pregresse necessarie alla posizione.
    Non voleva trovarlo, un altro candidato - non quando l’opzione perfetta era a pochi metri da lei, già a rischiare di scivolare fra le dita. «posso fare io» Jericho schioccò seccata la lingua sul palato, soffiando uno sbuffo scettico. «seh» cugina dispersa di nah, affiliata di meh (e beh). Strinse le labbra fra loro, occhi blu sollevati al soffitto prima di tornare alla cassetta del primo soccorso del locale – ma c’era qualche RSPP a fare i controlli? Metà della roba le sembrava andata a male; oh beh, se Darden si fosse beccata qualche infezione, avrebbe potuto biasimare il karma. O la Karma: in quel frangente, cambiava poco. Studiò di sottecchi la ragazza quando si tolse la maglia, e non distolse lo sguardo per un solo – giuro, un solo – motivo.
    In qualsiasi altra situazione, sarebbe stata la prima ad abbassare il capo. Guance arrossate, cuore a palpitare nello sterno. Quella? Non si sentì neanche in imbarazzo ad indugiare sulla pelle nuda, sopracciglia corrugate nel rendersi conto in che stra fottute condizioni fosse Darden.
    Forse doveva rivalutare il San Mungo.
    Si fermò con ancora una bottiglietta in mano, gli occhi a sorvolare sul sangue raggrumato e quello ancora liquido. Sembrava… muoversi. Reagire a qualcosa. Di liquido cremisi ne aveva visto parecchio, e quello aveva qualcosa di strano. Reclinò il capo sulla spalla, prendendo nota di quante cicatrici fossero troppo fresche per appartenere alla Darden precedente – che già, bisognava dire, ne aveva avuto un bel carico. «dovresti essere già morta» osservò in tono piatto, privato perfino dell’usuale furia e disprezzo. Esitò ancora un paio di secondi, chiedendosi che minchia farsene di tutta quella roba fra le mani, prima di cercare gli occhi di Darden. Magari non al San Mungo, ma un guaritore…? Mago o special, aveva poca importanza. Doveva chiamare Nate? Il dubbio si insinuò fisico e concreto nello sguardo della Lowell, tinto da un principio di paura.
    Davvero. Davvero non aveva una bella cera, Darden.
    E lei non poteva farci un cazzo.
    Umettò le labbra, prendendo uno dei coltellini nella cintura per tagliare la garza attorno alla vita della Larson. Non aspirò l’aria fra i denti nel notare le condizioni sottostanti, ma avrebbe voluto. Scosse appena il capo, una sola volta. «mi hanno rapita. sono stata nei laboratori per tutto questo tempo» No. E - no. Voleva odiarla, Jericho. Dio solo sapeva quanto volesse odiarla, e quanto diritto ne avesse. Non voleva… Non voleva giustificarla. Non poteva, perché avrebbe significato averla persa per anni e non averla cercata neanche una volta. Strinse i denti, drizzò le spalle, e staccò di netto le bende appiccicate alla pelle.
    Andava molto male.
    Prese del cotone. Si rese conto di quanto poco appropriato fosse, il batuffolo fra le dita. Insistette nell’evitare gli occhi di Darden, preferendo valutare le possibilità nella cassetta. «non so cosa mi abbiano fatto ma- non sento più niente, nessuna magia» Deglutì.
    Chiuse gli occhi solo per un secondo, Jericho. Forse anche meno.
    Morse l’interno del labbro inferiore, laboratori e non so cosa mi abbiano fatto, e strinse fino a sentire il sangue scivolarle sui denti. No, non Nate. Si fidava di lui, ma - «dakota» era suo amico, ed era un medico. Non avrebbero dovuto visitare un ospedale.
    E Darden non avrebbe dovuto dare spiegazioni, se non avesse voluto. Prese il telefono, ignorando come le dita tremassero leggermente sulla tastiera. Rabbia - era solo rabbia. «lo chiamo.» non era un tono a cui si potesse replicare, quello.
    E se le dita si fossero fermate sul ginocchio di Darden, chiedendo ed offrendo solo quello, perché non poteva darle altro, era un problema solo suo. Se «ti ci abituerai» il tono si era fatto più morbido, più consapevole e meno pregno di veleno, non aveva importanza. E se «te lo giuro» quella promessa ne implicava altre dieci o cento, era solo un loro segreto.

     
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