don't wanna mess it up 'cause I want everything and nothing at all

@ wizburger, ft. bucky

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    Non c’era niente che non andasse.
    Era perfettamente normale per Erin Therese Chipmunks sedere con la schiena dritta sugli scomodi divanetti del Wizburger, strizzata di fronte ad una sorella perduta e ritrovata che proveniva da un’altra linea temporale, a spiare il suo giovane padre ventiseienne in fila alla cassa a pochi metri di distanza.
    Non c’era niente che non andasse.
    Togliendo gli incubi. Togliendo lividi sulla pelle che non ricordava di aver causato. Togliendo la mancanza costante della Resistenza, perfino dopo due anni lontana dall’operatività. Togliendo che Jeremy Milkobitch fosse sparito senza lasciare traccia da cinque mesi. Togliendo che sua sorella dal futuro rinata nel 1903 a malapena uscisse dalla sua stanza perché suo cugino dal futuro e fratello nel presente fosse scomparso da due mesi. Togliendo gli occhi tristi di Mehan quando si soffermavano più a lungo sulla cronologia delle chat, le dita a digitare messaggi che non avrebbero ricevuto risposta. Togliendo che Scott fosse partito per l’America.
    Togliendo che non sapesse cosa farsene di Erin Chipmunks, sotto lo sguardo attento e calibrato di Bucky. Perfino dopo due anni, ancora non era riuscita ad abituarsi alla sorella, ed al fatto che dietro ogni sorriso tirato nascondesse tutta una vita di cui Erin aveva fatto parte. Di cui non le era rimasto nulla.
    Tessa Hamilton aveva sempre saputo cosa fare. Aveva sempre saputo chi essere, dove e quando esserlo. Non aveva mai dubitato del proprio posto nel mondo, prendendo le redini e dando al caos un ordine tutto personale – fosse organizzare un’operazione suicida con l’obiettivo di salvare il mondo insieme a ragazzini dai bisogni egocentrici e la lacrima facile, o preparare pancake alla cannella per la colazione delle sorelle minori. Erin? Erin afferrava quel che poteva, quando poteva, e cercava di metterne insieme i pezzi per non far crollare tutto. Non c’era ordine, non c’era costanza. C’era fretta, quella sì – quella sempre – di prendere quante più briciole possibili, ma nel rimetterle a costruire un intero non aveva la forza di assicurarsi avessero senso. O che fosse la cosa migliore.
    Così, improvvisava.
    Videochiamava Scott Chipmunks più volte al giorno di quanto fosse umanamente concesso.
    Trovava scuse – su scuse, su scuse - per presentarsi a casa di Harper, portando dolcetti che sapeva la rossa non avrebbe mangiato.
    E poi c’era quello. Quella missione; quella tradizione. Quell’appuntamento fisso che Bucky ed Erin avevano da un po’ di seguire la vita ordinaria di Lydia Hadaway e Jayson Matthews da una distanza di sicurezza che impedisse a tutti loro di farsi troppo male. Una volta sola, testarda e capricciosa nel voler rubare un poco dei loro giorni per sé, era diventata oggi hai da fare? e domani ho sentito che sono a Diagon Alley! e nel weekend lavorano entrambi al B&B Nydiaville, finché quella non era semplicemente diventata la loro vita.
    Un obiettivo comune. Tempo passato insieme senza dover ammettere fosse tempo passato insieme, perché sembrava di barare ad un gioco le cui regole erano state scritte ben dopo e prima della loro nascita. Ed Erin… Erin non sapeva. Non sapeva come essere all’altezza di qualcuno che neanche ricordava; non sapeva come non contaminare i ricordi che Bucky aveva di quella Tessa, mostrandole il disastro che era diventata tornando indietro.
    Non sapeva se ancora la volesse nella propria vita, quindi aveva creato una strategia per la quale, almeno un po’, potesse ritagliarsi del posto.
    C’erano le domande. Quelle che sentiva affollarsi dietro lo sguardo, nascosto ora su un menù ed ora sulla nuca di Jay alla cassa. Quelle che cercava di sopprimere pensando a morbidi gattini, o a Meh, o a Meh con morbidi gattini, perché temeva che Bucky potesse leggerle e risponderle. Non sapeva se le volesse, quelle risposte – se ne avesse il diritto.
    Probabilmente no.
    Allora perché hai quell’anello, Erin?
    Lo sentiva pesare colpevole nelle tasche del parka, dove l’aveva sommerso sperando di non perderlo mai e non ricordare esistesse. Una tentazione a cui voleva resistere, perché le sembrava che… che non se lo meritassero. Nessuna delle due, seppur per motivi diversi. Egoista, le bisbigliava la sua coscienza, facendole correre un brivido lungo la schiena. Colpa tua, continuava.
    Erin si schiarì la voce, scuotendo impercettibilmente il capo.
    Erano ad un appostamento.
    Sembravano sospette? Sì: non avevano preso niente, limitandosi a seguire il telecineta all’interno del fast food, e sedendosi al primo tavolo a disposizione che fosse abbastanza vicino al bancone. Se avessero ordinato anche loro qualcosa, non solo le avrebbe viste, ma avrebbero perso tempo utile a seguirlo dopo, considerando che sembrava intenzionato a prendere da asporto.
    Lo struggle era reale.
    E doveva dire qualcosa. Cosa? Non lo sapeva, ma QUALCOSA! Erano lì in silenzio da un po’, e sentiva il nervosismo iniziare ad arrampicarsi sulle braccia e le dita, incapaci ormai di stare ferme. Quindi: «hai dormito bene stanotte?????» CON TANTI PUNTI INTERROGATIVI PERCHè ERA SINCERAMENTE PREOCCUPATA, OK, forse non aveva il diritto di esserlo, ma!!&& Forza dell’abitudine.
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    scotts Bucky Barnes

    quello che stava facendo non aveva senso.
    non era razionale, non portava da nessuna parte — alla fine di quella strada senza uscita c'era un muro. spesso, di cemento armato.
    della testa di Jayson Matthews Bucky vedeva solo la nuca, i capelli scuri tagliati corti, una piccola porzione di pelle dove cominciava la colonna vertebrale per poi sparire nel colletto della camicia. non aveva senso, non era razionale, non portava da nessuna parte, eppure quel pensiero le martellava costante nelle tempie: guardamiguardamiguardami. e suo padre la guardò, attratto da una forza simile al sussurro di una sirena omeriana (si dice? come shakespeariana dai) nelle orecchie; le iridi caramello incontrarono quelle verdi di scottsdale, vi si persero per un istante.. e passarono oltre.
    perché era una persona come tante, Bucky Barnes.
    qualcuno che Jay conosceva di vista grazie alle lezioni di Henderson e alle feste di Capodanno organizzate da polgy, un viso anonimo che forse negli ultimi due anni aveva visto in giro un po' troppo spesso, ma niente più di quello. non era figlia di Jayson più di quanto non lo fosse la ragazza che le stava seduta di fronte: così simili tra loro da far venire qualche dubbio anche ad un avventore passato di lì per caso — gli stessi occhi della madre, capelli castano scuro come il papà. aveva tratti più morbidi dei suoi, Erin Chipmunks, che le sofferenze di una vita non erano riuscite ad indurire; Bucky, con il suo sguardo diffidente sul mondo, ci era nata.
    «hai dormito bene stanotte?????» non serviva la telepatia - dono e condanna -, per percepire la titubanza di Erin nel porgerle quella domanda, punteggiatura eccessiva compresa: si conoscevano da più di due anni ormai, e se solo la vigilante avesse permesso alla sorella di esserlo davvero, forse a quel punto scambiarsi confidenze non sarebbe stato così strano.
    per nessuna delle due.
    ma quello che Bucky avrebbe voluto non era quello che Scottsdale poteva permettersi — aprirsi a quel mondo, a quelle persone che un tempo erano state la sua famiglia e tutto ciò che ci ruotava attorno, faceva ancora troppo male. lo avrebbe fatto sempre, ed era l'unica cosa di cui aveva certezza «come un sasso» rispose, mentendo con la leggerezza di un sorriso che, seppur inconsciamente, alla chipmunks non poteva negare; a differenza di jayson e lydia, Erin era davvero sua sorella. non la copia sbiadita di una linea temporale alternativa, la rappresentazione dolorosa di un 'come potevamo essere' al quale Bucky era costretta a fare solo da spettatrice.
    la ragazza seduta di fronte a lei era la Tessa Hamilton che ricordava, lo stesso corredo genetico, ma con una possibilità in più di ricominciare da capo che alla telepate era stata negata. a saperlo, avrebbe aderito anche lei a quella loro stupida missione del cazzo, invece che riservare ai prescelti ultime parole colme di rancore delle quali si sarebbe pentita per l'eternità — un tempo relativamente breve «quando non c'è Gwen a tenermi sveglia fino alle 3 parlando di Barbie-» canon «è tutto più facile» anche se in fondo era esattamente il contrario, no? non c'era niente di facile quando si svegliava di soprassalto nel bel mezzo della notte, le dita a stringere la coperta così forte da sbiancare le nocche; non c'era niente di facile quando veniva catapultata senza alcuna pietà nel mondo reale, strappata da sogni legati ad un'altra vita che Bucky avrebbe tanto preferito non fare. ma non poteva dire ad Erin che era lei a citare Barnaby Jagger (sandersanderSANDER) per prima, così che Gwen parlasse a ruota tenendo la sua mente occupata, lontana dai sogni; non poteva nemmeno ammettere ad alta voce quanto facesse male riuscire a mentirle con tanta facilità: con Therese non l'avrebbe passata liscia.
    la maggiore conosceva ogni sfumatura, ogni ombra, captava anche il più piccolo cambiamento di espressione — un sorriso non poteva bastare.
    ma sperava comunque che bastasse in quel momento, la telepate, perché l'ultima cosa che voleva era addossare sulle spalle della chipmunks un altro peso, altri problemi per i quali non avrebbe comunque trovato una soluzione: Scott si era trasferito, Mac e Jeremy erano spariti, tutte le certezze che aveva sembravano pronte a sgretolarsi sotto i suoi occhi. quegli occhi verdi che condividevano con una madre ormai perduta da tempo «pensi che..» distolse lo sguardo, portandolo di malavoglia sul bicchiere che aveva di fronte, una mano a girarvi pigramente dentro la cannuccia colorata. sapeva che era la domanda sbagliata, quella che stava per fare, ma non aveva nessun altro a cui chiedere; nessuno che potesse capire, anche senza farlo «nasceremo mai? io e.. harper» quanto suonava strano quel nome, quasi alieno.
    aveva perso le speranze di farci l'abitudine, bucky barnes — e ancora non sapeva se fosse un bene o un male.
    «non sembrano pronti» concluse, azzardando un'occhiata in direzione di jayson, ancora in attesa del proprio turno per ordinare a portar via. non le disse come la pensava lei, che per Erin Madaway il tempo era già scaduto, e presto lo sarebbe stato anche per Scottsdale; che quelle due bambine non sarebbero mai nate, che la storia era già stata cambiata senza possibilità di rimediare. voleva solo sentirsi dire che esisteva ancora una possibilità, per scotts e erin, di vivere la vita normale che avrebbero meritato loro. poi, un lampo: «a mehan piacciono così tanto i gattini?» chiedo.


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    «come un sasso» Il viso di Erin si illuminò, felice di ricambiare il sorriso e sollevata all’idea di essere riuscita, trionfante!, a spezzare il silenzio. E attese. Attese, comprendendo con un istante di ritardo che la risposta di Bucky si fosse conclusa lì - cosa avrebbe dovuto risponderle, d’altronde? - e fece del proprio meglio per nascondere la delusione. A se stessa, non alla ragazza seduta al suo fianco. Non sapeva come gestire quel misto di timidezza ed insicurezza, quel timore costante di dire, o fare, la cosa sbagliata. Si approcciava a Bucky con la stessa cautela che usava con i gatti selvatici: interesse, ammirazione, e sincero bisogno di essere amata ed apprezzata. La differenza con i mici di strada, era che non potesse accettare un rifiuto. Non poteva contemplarlo, perché sapeva di volere quel rapporto, e le cose che voleva Erin Therese Chipmunks non erano poi così tante. Doveva aggrapparcisi, stringerle fra le mani, appiattirle contro il petto per non farle volare via sulle ali di ma è meglio per loro, non lo vedi?. Aveva lasciato andare Keanu, e Nathan. Perfino Scott, quando gli aveva assicurato che avesse tutto sotto controllo. La Barnes dovette leggere comunque l’espressione sconfitta di Erin, perché le venne incontro con un «quando non c'è Gwen a tenermi sveglia fino alle 3 parlando di Barbie è tutto più facile» che sapeva esistere per lo stesso principio per il quale la Chipmunks continuava a farle domande, il medesimo per il quale continuassero quegli appostamenti.
    Ci stava provando. Anche per Bucky era territorio nuovo. Se peggiore o migliore, non avrebbe saputo dirlo. Aveva importanza? «nulla di lusinghiero, immagino» ma era un tono divertito, ed ammirato e affettuoso, quello di Erin. Conosceva Gwen come ribelle prima ancora che come cugina, ed era sempre stata una (pessima.) fonte di ispirazione per lei. Il fatto che avesse una relazione con Barbie, non la stupiva neanche un po’: match made in hell oh barweed come mi mancate. Aprì la bocca, ma la richiuse e la nascose dietro un palmo. Kieran l’aveva ovviamente già informata su tutti gli altarini della loro epoca (compreso il loro, mormorato imbarazzato sopra una tazza di cioccolata calda: come se Erin potesse stupirsi di averla amata ed adorata anche allora, seppur in maniera diversa) ma un conto era sentirli da Kier, indottrinata da altri, ed un conto era averne una testimone proprio lì, a pochi centimetri di distanza. La ex Tassorosso, fu Aguilera, voleva sapere tutto.
    Le fanfiction non si scrivevano da sole.
    Ma non disse nulla, mordicchiando nervosamente la guancia ed abbassando colpevole lo sguardo sulle proprie mani. Era come chiedere ad un veterano di raccontare un episodio al fronte? Le avrebbe fatto piacere parlarne con qualcuno…? Un territorio ancora minato, e districarsi sul terreno agibile non era facile quanto sembrava, perfino per chi aveva recentemente (grazie meh ♥) imparato il parkour. Canon.
    Di tutti i segreti che avrebbe potuto decifrare sul volto della sorella, Erin ci leggeva tutte le cose sbagliate. Non era Tessa. Non le avrebbe dato un calcio sotto al tavolo, mugolando di tagliarla con le stronzate, Scotts, non sono mica Noah. Non le vedeva proprio, quelle bugie bianche, troppo accecata da tutto il resto per rendersi conto che ci fosse qualcosa che non andasse in Bucky. D’altronde, così l’aveva conosciuta Erin: quella era l’unica versione della Barnes che conoscesse.
    Avrebbe voluto non fosse così. Ce l’avrebbero fatta, a non essere così.
    «pensi che..» a giudicare dal tono artificiosamente distratto, la Chipmunks dedusse che no, probabilmente non lo pensava. «nasceremo mai? io e.. harper» Oh. Oooh, era quel genere di domanda. La colse abbastanza impreparata da farle battere rapidamente le ciglia, come se mettere a fuoco Bucky le permettesse di concretizzare il quesito – renderlo reale. Tupp e Cash, Tessa e Noah, erano già nati, quindi era un problema che personalmente non si era mai posta. Ma tutti gli altri? Sapeva che come Bucky, e come Harper, ci fossero diversi … ritardi nelle nascite. Sapeva, con quel raziocinio un po’ distaccato tutto Tessa e poco Erin, che fosse scontato e normale. Che avessero cambiato la storia, e loro ne fossero l’effetto collaterale. Che ci fosse la probabilità non nascessero mai.
    Non l’avrebbe detto a Bucky. Non le avrebbe neanche permesso di pensarlo, o di leggere il dubbio nella propria mente. Si fece seria, le sopracciglia aggrottate e le labbra tirate in una linea severa. «non sembrano pronti» Allungò una mano, offrendo il palmo in segno di pace. Se avesse voluto stringerlo, sarebbe stato lì; se non avesse voluto farlo, sarebbe andata bene uguale. «nessuno lo sembra mai. Non significa non lo siano» ma sapeva anche lei avessero bisogno di tempo. Difficile pensare di creare una famiglia, quando genitore due aveva la tendenza a sparire (.). «prima o poi. Tanto non vanno da nessuna parte» poco coerente con quanto pensato poco prima, ma sorrise comunque e lo fece sincera, perché ci credeva e voleva lo facesse anche Bucky. «e neanche noi…?» Un tono neanche troppo sottilmente interrogativo, gli occhi verdi a cercare quelli della telepate. Aveva solo bisogno di una conferma, Erin. Cento volte, ma sempre la stessa.
    «a mehan piacciono così tanto i gattini?» HHHHHHHHHHHHH Arrossì così tanto, che temette i capelli avessero preso la stessa sfumatura di quelli di Harper. «MOLTISSIMO, A CHI NON PIACCIONO I GATTINI» NON GUARDAREEE BUCKY NON GUARDAREEEE
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    se lo fate, aveva detto, con il cuore a pesare come pietra lavica nel petto, vi odierò per sempre.
    e osservando Erin Chipmunks arrossire fino alla punta dei capelli, Bucky poté solo chiedersi come aveva fatto ad essere così stupida. non era stata in grado di capire, non allora; persino con il corpo senza vita della sorella tra le braccia, in quei sotterranei impregnati di umidità e sangue e dolore, non era stata in grado di capire. erano passati anni, letteralmente, e faceva ancora fatica: a comprendere, accettare, andare avanti. eppure, per una frazione di secondo, seduta a quel tavolino con un bicchiere ancora pieno tra le mani, Bucky Barnes ebbe come la sensazione di avere ancora una possibilità. non doveva per forza ricominciare da zero, troppo tardi per quello — ma poteva iniziare a ricostruire. un mattone alla volta, un passo alla volta. a cominciare da Erin, continuando con Gwen; avrebbe trovato Mac. avrebbe trovato Heathcliff.
    fu quell'ultimo pensiero, quell'ultimo nome a scuoterla.
    no.
    no, certe cose non si potevano riparare. a volte, le fondamenta semplicemente non reggevano.
    la mano aperta di Erin, Bucky avrebbe voluto prenderla. stava lì, così tangibile come tutti i ricordi e i sentimenti della telepate non potevano più essere, facile da raggiungere; immaginò come sarebbe stato, allungare la propria e afferrare quella della sorella, ripetere gli stessi movimenti istintivi che compiva da piccola: dita ad intrecciarsi tra loro, il pollice a premere l'interno del polso. da bambina, Scottsdale lo faceva sempre — ascoltava i battiti attraverso il polpastrello, ne seguiva il ritmo contando a mente. la mano di Noah, invece, Scott la afferrava con entrambe le proprie, aggrappata al fratello maggiore con sempre l'inesistente richiesta di tirarla più su Noah! ancora più su!.
    avrebbe voluto prenderla, ma non lo fece.
    brutta bestia, la memoria.
    le iridi verde bosco indugiarono su quell'offerta un istante ancora, poi Bucky guardò altrove «giusto, non vanno da nessuna parte» tutti i bambini pensavano la stessa cosa dei propri genitori: saranno sempre qui. molto spesso la realtà dei fatti si dimostrava deludente, per alcuni persino drammatica. ma le sorrise comunque, perché Erin non meritava i suoi pensieri negativi e le immagini di morte e solitudine che si trascinava dietro; meritava fossette uguali alle sue, un po di disponibilità — ci sto provando dicevano gli occhi di Bucky, anche se nel profondo era certa di non stare facendo abbastanza. «e neanche noi…?» il tono interrogativo costrinse la ventiduenne a tornare con lo sguardo sul volto della sorella, ma le ci volettero alcuni secondi — un'infinita manciata, per rispondere. Therese e Noah da qualche parte erano andati; senza guardarsi indietro, senza chiedere permesso a nessuno.
    a Backy non sarebbe costato nulla, togliersi di dosso quel peso. sputare il veleno, sputarlo finalmente tutto, permettere alla ferita di rimarginare i propri bordi frastagliati. dopotutto, non doveva loro niente. nessun perdono o comprensione, nessun ingresso in punta dei piedi nelle loro vite. e poi? una volta scaricata la colpa su erin, su gwen, su mac, su heatcliff, che cosa le sarebbe rimasto? poteva ancora aggrapparsi a quel veleno, la telepate, sapendo che c'era e ci sarebbe stato sempre — e aggrapparsi a loro «neanche noi» confermò, la voce più bassa di un ottava per evitare spiacevoli inconvenienti; che si spezzasse, per esempio. quando le chiese di mehan, gli incisivi a piantarsi istintivamente nel labbro inferiore per non scoppiare a ridere, Bucky lo fece anche per quello: forse Erin non era Tessa, ma quando la guardava, e le leggeva dentro senza sforzo, sembrava esattamente la stessa cosa «ah io non giudico, a me piacciono i gatti. mi piace anche mehan, sai?» lasciò andare la cannuccia, appoggiando la schiena all'indietro contro il divanetto, gambe allungate sotto il tavolo «mi fa solo...beh, strano. per tutta una serie di motivi» diede ad Erin un'occhiata di sottecchi, entrambe le sopracciglia inarcate «in primis perché il mehan tryhard che ricordo io avrà avuto almeno sedici anni più di te» e già così faceva ridere «e poi—» si fermò, stringendosi nelle spalle.
    esistevano davvero territori inesplorati, e uno di quelli era senza dubbio la relazione tra sua sorella e Leia Skywalker.
    un gesto della mano a mezz'aria e Bucky liquidò la questione: avevano appena iniziato a conoscersi, non era ancora pronta per quello «siete carini insieme» teneri, come i suddetti gattini, che la telepate fece il possibile per cancellare dalla propria memoria, sostituendo il tryhard circondato da musetti baffetti con qualcosa di più familiare; e, al tempo stesso estraneo «erin—» spostò il peso del corpo in avanti, la ventiduenne, scivolando improvvisamente sul divanetto fino a raggiungere il bordo del tavolo, una mano sul bicchiere con la cannuccia e lo sguardo concentrato oltre le spalle della chipmunks «hai mai desiderato fare qualcosa di incredibilmente stupido, solo perché ti va?» sapeva cosa le avrebbe risposto tessa. sapeva persino cosa avrebbe risposto lei, Scottsdale Madaway-beaumilton, se qualcuno gliel'avesse chiesto: quello che faccio non è mai stupido.
    evidentemente, ad una nuova vita corrispondeva per forza di cose qualche cambiamento.
    si alzò in piedi, Bucky, portando con sé il bicchiere «quando ti dico di correre» lo sguardo della telepate rimase inchiodato oltre Erin, verso quel Jayson Matthews che aveva ricevuto il suo ordine take-away e adesso tornava nella loro direzione, diretto all'uscita; verso quel Jayson Matthews che non era suo padre, che si era fatto rapire in una vita e ammazzare nell'altra. se potessi rivedere papà, anche solo una volta, non lo abbracceresti? la testa di Erin sulle gambe di Scott, la voce della maggiore così bassa da essere poco più di un sussurro. si, aveva risposto, guardando il soffitto, nascondendo i pugni nel cuscino sì, certo. ma non era vero. e quasi sorrise, Bucky, nel caricare il braccio e lanciare il bicchiere — un kink particolare dei pg di rob a quanto pare «corri!» afferrò la sorella per un braccio, trascinandola via, mentre il contenitore proseguiva la sua parabola discendente e finiva in testa telecineta: palla, questa volta decido io.


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    «ah io non giudico, a me piacciono i gatti. mi piace anche mehan, sai?» Ed anche se razionalmente sapeva di non avere bisogno del permesso di nessuno, quella suonava tanto come una benedizione, ed Erin sorrise sollevata nel proprio bicchiere. Forse mormorò anche qualcosa, muovendo veloce le labbra ed ancor più rapida i pensieri, arrossendo se possibile un po’ di più. Non incrociò lo sguardo di Bucky; era troppo codarda per tutto quel fardello di storia, e quella nota sempre un po’ dissonante nel tono dell’altra. Sembrava quasi parlasse due volte, e che la voce giungesse da sotto la superficie dell’acqua. Rimbombava distante come un eco. «mi fa solo...beh, strano. per tutta una serie di motivi. in primis perché il mehan tryhard che ricordo io avrà avuto almeno sedici anni più di te» Si fece qualche rapido calcolo mentale, Erin Chipmunks, cercando di capire quando Tupp fosse giunta all’età del consenso. E mantenne una totale straight face, perché era trasparente in tutto ma non quando contava: era solita leggere fanfic smut davanti a tutti ed impassibile, la ex Tassorosso. Non rideva, non sorrideva, non arrossiva – al massimo sollevava lo sguardo verso un nuovo sistema cercando il coraggio supremo, a far cosa non era dato saperlo a nessuno – allenata sin dalla tenera età (tredici anni) a nascondere le proprie reazioni ai vari degrees di piccante. Quindi non passò nulla dall’espressione della Chipmunks a quanto detto dalla sorella, ma stava già pensando all’AU con l’age gap e tutti i trope connessi: era un suo insegnante? Il suo capo? L’amico del padre o della madre? «mhmh» commentò, impegnando la bocca sulla cannuccia, aspirando rumorosamente dal ghiaccio residuo nel bicchiere di carta. «e poi—» E poi? La osservò interrogativa, leggendo nel silenzio e nel gesto della mano che non fosse il caso di esplorare oltre. Immaginava dove volesse andare a parare, ed effettivamente, non era una conversazione a cui erano pronte. Tornò a bere il nulla, cercando di riempire il silenzio con la sua poca eleganza, cercando di pescare un solo pensiero con cui aizzare la conversazione. Andiamo Erin, andiamo, ci sarà pur qualcosa che non riguardi il vostro passato-futuro…! «erin—» La guardò spostarsi, senza capire. Seguì il suo sguardo sulla nuca di Jay, e scivolò istintivamente anche lei sul bordo del divanetto. «hai mai desiderato fare qualcosa di incredibilmente stupido, solo perché ti va?» L’aveva fatto? Immaginava di sì, ed era anche abbastanza certa che le risposte a quella domanda risiedessero tutte nelle coppie che non sapevano di essersi trovate assolutamente non per caso bloccate da qualche parte insieme, ma nel contesto la trovava una richiesta abbastanza ominous. «quando ti dico di correre» Ed era già pronta, Erin. Perchè non esisteva universo, sistema, linea temporale, per la quale Erin potesse non seguire ciecamente sua sorella. Un difetto di famiglia, a vedere come Harper avesse seguito altri nel loro viaggio: davvero non sapevano come dire no, o quando dire basta.
    La guardò afferrare il bicchiere.
    Continuò a non capire.
    Osservò il bicchiere volare verso Jayson Matthews.
    Capì.
    Occhi spalancati, labbra dischiuse, istintivo cercare un riparo dove nascondersi, mentre Bucky la afferrava per un braccio ed iniziava a correre. Corse anche lei, lontano dal brontolio deadpan del loro genitore1 e dagli sguardi confusi degli altri clienti del locale. Si lasciò stringere, e strinse il braccio della ragazza a sua volta, continuando a correre anche quando non ce n’era più bisogno.
    E poi guardò Bucky, radiosa. Un paio di secondi di silenzio, di petto ed alzarsi ed abbassarsi veloce, prima di perdere quel poco fiato in una risata squillante ed acuta. Dovette piegarsi su se stessa, braccia a stringere milza e stomaco, guancia premuta sulla spalla. «MA C’ERA ANCHE IL GHIACCIO?» domande importanti, per role destinate ad essere portate oltre più avanti - ci rivediamo a fine quest, sis.
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