come as you are, as you were, as i want you to be

oscar x bells

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    arabells lies dallaire
    16 y.o. - 14.08.16 - ravenclaw
    « holding me closer 'til our eyes meet
    you won't ever be alone »
    Ogni tanto ci si perdeva, in quegli occhi così simili ai suoi. E cercava, Arabells. Continuava a cercare, malgrado sapesse che non ci fosse più nulla. Una flebile speranza covata sempre dietro il sorriso di circostanza che era ormai solita rivolgere a suo fratello, quand’egli le domandava se fosse tutto okay. Certo che non era okay, come avrebbe potuto esserlo? Era passato un anno, ma la Corvonero ancora non riusciva a capacitarsene. A volte, semplicemente, se ne dimenticava: guardava Elijah e vedeva Elijah, lo stesso fratello con il quale aveva preso il suo primo boccino. Ma c’erano momenti in cui era impossibile, perfino per una bugiarda patologica come Bells, fingere che fosse tutto okay. Si muoveva come suo fratello, rispondeva come suo fratello, aveva il suo stesso profumo, ma… qualcosa non andava. Come vedere un film con l’audio sfasato rispetto alle labbra, le quali non si muovevano in sincrono con quanto detto. Come vedere un’ombra con la coda dell’occhio, e poi accorgersi che alle proprie spalle non c’era nulla.
    Era diverso, e Bells non riusciva a capire. Si sentiva sempre vagamente a disagio, come se lei fosse di troppo. Sorella, ma più simile ad un danno collaterale. Preferiva rimanere in silenzio, stringendo la mano di Eli finchè non si addormentava; con le palpebre abbassate, poteva figurarsi che non fosse cambiato nulla, che se avesse riaperto gli occhi avrebbe trovato il solito sorriso sbilenco del fratello, accompagnato da uno «sbavi quando dormi» ed una carezza sui fini capelli castani. E sapeva di essere egoista, sapeva che non era colpa di Elijah Dallaire, ma non riusciva… non riusciva a perdonarlo, non del tutto. Lo amava così tanto da far male, eppure non riusciva a perdonarlo per averla lasciata da sola. Erano sempre stati loro due contro tutti, i Dallaire. Diversi, senza dubbio, eppure così simili. Fragili, entrambi; ed entrambi a fingere che non avesse importanza, chi per prodigarsi verso gli altri, e chi per puro e semplice orgoglio. Ci provava, con quei suoi buffi regali fatti di foto e didascalie; ci provava ad indicare i volti sorridenti sulla pellicola, ed a ricostruire la loro storia. «questo credo sia lo zio Bruce. Non ne sono certa, non l’ho mai visto» e con una risata nervosa, perché certe freddure sulla propria cecità divertivano solamente lei e Arci, si affrettava a cambiare pagina, come se più gliene avesse mostrate, più rapidamente Elijah avrebbe ricordato. Ma lui non ricordava. E ci stavano male entrambi, i Dallaire, con quel sentore di fallimento incastrato fra le labbra: entrambi non riuscivano, ma entrambi ci provavano. Alla fine, era anche quella famiglia.
    Ma faceva così male.
    Ai suoi migliori amici non aveva detto nulla, neanche in una delle loro serate fatte d’alcool e confessioni su cui, da sobri, avrebbero semplicemente riso. Erano amici particolari, ma i migliori: potevano passare interi pomeriggi a discutere sulle angurie a forma di cuore che facevano in Giappone, così come potevano trascorrere ore a dialogare del senso della vita. Tono leggero ed anima pesante, per dei ragazzini così giovani; ma era tutto okay, perché erano insieme. Potevano affrontare qualunque cosa insieme, giusto? Bells l’aveva sempre vista così. Loro erano il suo scudo e la sua spada, protezione e forza d’assalto. La giovane e spensierata sensazione di essere invincibili e intoccabili. Eppure non era riuscita a dargli di Elijah; quanto sarebbe sembrata stupida? Non era morto, non era scomparso: era lì, con lei. Un vanto che altri non potevano permettersi. Arabells Dallaire non era il tipo di ragazzina alla quale piaceva sbattere in faccia agli altri i propri problemi, o le proprie vittorie (a meno che non riguardassero il quidditch, in quel caso BOOM SUCK IT tutti); a lei piaceva ascoltare, lamentarsi sui compiti di storia della magia, rompere le palle a Jack perché si trovasse una nuova ragazza. Era stata tentata più di una volta di chiedere alla Mano Magika (che non a caso faceva rima con Amika #wat) di Arci di leggerle il futuro: sarebbe migliorato? Avrebbe smesso di far male?; e che ironia, avrebbe potuto chiedere ad Elijah, che a quanto pareva era un chiaroveggente (ci aveva provato a capire cosa significasse, davvero, o cosa questo implicasse per il Dallaire biondo; domande casuali a tutti gli special incontrati al castello, vaghi interrogativi a Nate, e numerosi manuali ma #nope). Ma non l’aveva mai fatto, Bells, e non solo perché doveva mentire. Avevano tutti i loro problemi, tutti le loro piccole guerre. La sua… la sua non era una guerra, o almeno non una dove avrebbe potuto vincere, il che rendeva insensata una richiesta di aiuto al resto della gang.
    Era per quello che sempre più spesso si rifugiava sulla Torre, ad Hogwarts; era per quello che tornata ad Inverness, Arabells Dallaire non si svegliava quasi mai nel proprio letto. Le andava stretta, quella casa. La soffocava, gonfia di scheletri nell’armadio dei quali solamente Bells sembrava avere la chiave. Aveva paura: di quella casa, di sé stessa. Di Elijah Dallaire. Le uniche volte che rimaneva a dormire a casa propria, era quando vedeva il fratello particolarmente scosso: allora rimaneva, le dita a scivolare sul pianoforte, perché aveva timore di lasciarlo solo – di quelle urla, che non aveva mai avuto bisogno di farsi spiegare. Ed aveva timore, Arabells Dallaire, che l’avrebbe dimenticata. Di nuovo. Altrimenti, la prassi era la seguente: sgattaiolava fuori dalla finestra, allenata da anni di fughe, si infilava nel buco della siepe che divideva il giardino dei Dallaire da quello dei Fraser, e si arrampicava sul balcone dei gemelli. Non aveva mai avuto bisogno di chiedere, e non si trattava di mera presunzione: semplicemente, fra loro aveva sempre funzionato così. Scivolava, elegante e silenziosa, sul pavimento della loro camera; accarezzava flebilmente i capelli di Chris, evitando di svegliarlo, e si infilava sotto le coperte con Oscar. Era l’unico al quale aveva spiegato di Elijah, del fatto che avesse dimenticato il suo passato; la madre era un segreto di famiglia, ma suo fratello? Era troppo da gestire da sola, ed alla fine aveva ceduto. Così, Bells rimaneva aggrappata all’unica cosa che cambiava senza realmente cambiare mai, il più incerto dei sorrisi sulle labbra e la fronte poggiata contro quella di Blaze finchè non prendeva sonno. Quello era casa, più di quanto casa sua fosse mai stata negli ultimi mesi. Sapeva che non era colpa di Elijah, ma non era neanche colpa di Bells. Qualcosa si era strappato, fra i Dallaire. Arabells si era spezzata. Ma quand’era con i suoi amici, con Oscar, era diverso. Non doveva fingere che andasse tutto bene, non doveva fingere che ogni e questo chi è? non facesse male al cuore. Si lasciava cullare dal calore e dal profumo del Grifondoro, familiare compagnia di una vita, con la flebile speranza che un giorno tutto potesse tornare alla normalità. Alle prime luci dell’alba, Bells sgusciava nuovamente in camera sua, dove si infilava sotto lenzuola fredde che ancora avevano profumo di bucato appena steso. E si ricominciava, quella farsa che tutti fingevano fosse vita: Theodore seduto al tavolino della cucina, intento a leggere qualche articolo sul Morsmordre, Elijah a preparare la colazione, e Arabells accartocciata sul piano della cucina con una mano infilata nei cereali -il latte era sopravvalutato- ad osservarli con assonnato interesse. Quel quattordici di agosto, a casa Dallaire, era un giorno uguale agli altri: «dormito bene?» un lieve sorriso, gli occhi a ruotare sul fratello alla domanda ormai di rito. Annuì fra una manciata di cibo e l’altra, incastrando i piedi sulla maniglia del forno, senza chiedere come fosse stata la sua nottata. «challange del giorno» farfugliò. Senza dare una spiegazione, perché avrebbe dovuto?, saltò in spalle al fratello, koalizzandosi come solo una piccola Arabells aveva imparato a fare. Erano tutti esageratamente più alti di lei, e Bells aveva dovuto trovare un passatempo in tutti quegli anni. «mi accompagni a fare shopping? Dai Eli» iniziò a gongolare al suo orecchio, sporgendosi in avanti per prendere un’altra manciata di cereali. «non mi metterò il kilt» oh, che palle. Convinci tuo fratello che il kilt sia un indumento cool, invitandolo ad indossarlo alla festa di paese (?), e questo non te la perdona più. Fece un verso a metà fra un grugnito ed un sospiro. «sei sicuro? Ti dona molt- okay» concluse, stampandogli un bacio sulla guancia. «hai vinto una battaglia, dallaire, ma non la guerra» lo ammonì, saltando nuovamente a terra. Afferrò un piatto ed uscì in cortile, come faceva ogni mattina, per portare la colazione ai gemelli ed a Tiff, che da poco si era trasferita da loro. La corvonero era felice di averla intorno; non lo dimostrava, rompendole le pluffe fino allo sfinimento, ma era grata di avere un’altra donna a farle da sostegno (#quale), giusto per far valere la loro superiorità morale e fisica sui ragazzi (#wat). Non si sprecava neanche a vestirsi, uscendo in giardino con i corti pantaloncini del pigiama ed una canottiera sulla quale origine erano tutti incerti: tutti pensavano fosse stata loro, ma nessuno ne era certo. Per quanto ne sapeva Bells, poteva essere appartenuta al Ministro in persona – cosa che, fra l’altro, cercava sempre di far credere. Aveva atteso per mesi quel giorno, Arabells Dallaire. Letteralmente, e neanche pochi: erano passati esattamente sei mesi dal compleanno dei gemelli Fraser, e la Corvonero aveva ritenuto opportuno, guadagnandosi un po’ di sincero odio, fare un regalo speciale a Chris, ed uno semplicemente cumulativo con i Catafratti per Oscar (cosa gli avranno regalato? Non so, un telefono nuovo? #wat). Ovviamente non aveva mai spiegato il motivo di tale disparità, inspirando ad ogni frecciatina del permaloso Grifondoro. Ma nel silenzio della notte, Bells aveva elaborato un piano: l’unica cosa di cui aveva avuto bisogno, era stato tempo.
    E soldi, e sfruttamento di Elite perché i Dallaire erano, in ambito magico, apatentati se vogliamo metterla in termini spicci. Bellissima la bicicletta volante di Bells, ma per quanto le piacesse sentirsi citare E.T. ogni volta che ne parlava con Arci e Jeremy – e per quanto, in fondo, amasse sentirsi un po’ E.T. #wat – era faticoso arrivare con tale mezzo fino a Londra. Non che ci avesse mai provato: pedalare per sedici ore non rientrava nella sua lista di passatempi. Né in quel momento, né mai. Aveva dovuto visitare vari luoghi, persone, ma soprattutto aspettare. Alla fine, però, il giorno era arrivato.
    Quattordici agosto.
    Quel pomeriggio con Elijah aveva racimolato le ultime cose, sorridendo al commesso quando fece passare il whisky sul rullo lanciandole un’occhiataccia: era passata il giorno prima, e lui si era rifiutato di venderglielo perché aveva solo sedici anni. Con Elijah, però, era diverso: poco importava che fra i due la più matura fosse lei (dai Elijah non rovinare tutto dicendo che non è vero, tanto lo sappiamo che non è vero), al commesso andava bene vendere alcool al Dallaire biondo, e non all’adorabile capitano della squadra di quidditch. I gusti erano gusti (?). Cenò insieme a suo padre ed a suo fratello, azzardandosi perfino, in punta di piedi, a portare un vassoio in camera di Davina. Il cuore in gola, il battito accelerato, mentre Bells spingeva cautamente la porta. Dormiva. Con un sospiro di sollievo, Arabells lasciò il vassoio sul comodino della madre, allontanandosi poi senza far rumore. Aveva convinto Theo che dire ad Elijah della loro madre sarebbe stato superfluo, che aveva già un trauma tutto suo, motivo per cui, per il fratello maggiore, quella era una cugina di Theodore Dallaire. Mamma era un segreto solo suo, ormai, a pesare come un macigno sulla trachea ad ogni respiro.
    Erano le dieci di sera quando Bells, un paio di corti pantaloncini di jeans ed una larga canottiera azzurra, scese di corsa le scale per uscire di casa – non aveva mai avuto un coprifuoco, fortunatamente. «vai da oscar?» Alla francese venne quasi una sincope quando la mano del fratello le agguantò un polso. Si volse verso di lui con un po’ di fiatone, annuendo rapidamente. «non dovrei?» domandò però poi guardandolo di sottecchi, avanzando di un passo nella sua direzione con le braccia incrociate sul petto. Le sembrava… strano. Se fosse andata lontano, non sarebbe neanche uscita; Oscar non se la sarebbe presa, se all’ultimo avesse rimandato l’appuntamento al giorno dopo – sperava. Con il fatto che l’obiettivo era vicino, la casetta sull’albero della villa abbandonata dietro la loro via, si sentiva più tranquilla, ma… «no. cioè, sì» Arabells corrugò le sopracciglia. «io… niente. divertitevi» al sorriso sbilenco del fratello, non potè che rispondere con un altro sorriso a labbra strette, annuendo nuovamente di rimando. «fate attenzione, okay?» la voce di Eli le arrivò quando già aveva una mano sul pomello. Quando si girò, però, non c’era già più. Era una raccomandazione strana, perfino per Elijah Dallaire. Si era sempre preoccupato per lei, ma era anche sempre stato il fratello che l’aveva coperta quando Theo la metteva in castigo, che l’aveva portata a volare sulla scopa malgrado il padre l’avesse vietato. Protettivo, sì, ma fino ad un certo punto. E stava andando a tipo duecento metri di distanza, con Oscar! «sì mamma» rispose ironica al vuoto, prima di uscire nella fresca serata scozzese.
    Una brezza frizzante le sollevò i corti capelli castani sul viso, facendola rabbrividire. Mentre il gelo si avvicinava sentivo anche molto freddo il celo si oscuri #Oscar was here. Aveva in programma una serata speciale per un amico speciale (mlmlml) e le nuvole che, minacciose, si stagliavano all’orizzonte, non la intimorivano. Erano mesi che preparava quella sorpresa, e per quanto sciocca e stupida potesse sembrare, ci teneva davvero. L’anno che avevano passato separati, malgrado gli sforzi di entrambi, continuava a pesare greve su di loro; erano cambiati, Bells e Oscar. O forse erano sempre stati loro, e neanche se n’erano mai accorti. Non lo sapeva, Arabells Dallaire. Sapeva solo che da quando era tornata voleva dimostrargli con i fatti che non aveva intenzione di andarsene di nuovo, che ci teneva; che lei avrebbe sempre, sempre scelto lui, se avesse potuto. Perché Bells… ci teneva. Non era solo un membro dei catafratti, non era solo il suo migliore amico, era… Oscar. Così, stringendo fra le mani un nastro rosso, attese Blaze sotto casa, salutando con un cenno i curiosi Chris e Tiffany che si erano affacciati dalla finestra. Nessuno di loro aveva chiesto perché non fossero invitati, era piuttosto palese – perfino ad Arabells, malgrado razionalmente non ci avesse mai riflettuto. Perché avrebbe dovuto? Era semplicemente… così, non c’erano domande di sorta. Quando lo vide arrivare, il sorriso si allargò; gli diede solo una manciata di secondi perché potesse vederlo, prima di fiondarglisi in braccio e nascondere il viso contro la sua spalla. Oscar Fraser era vergognosamente alto, sfiorava il metro e ottanta, così come tutti gli amici di Arabells: Arci era un metro e fermate te prego mi vergono non è legale quasi novanta, Jack era un metro e ottanta voglia di tenerezza, Jeremy la consolava con soli poco più di dieci centimetri di differenza; e poi c’era Arabells, semi cit, con i suoi centosessantasei centimetri di tenerezza (che faceva più effetto di un metro e sessantasei, sembrava più alta #wat). Tutti loro erano ormai abituati a prenderla al volo, come Elijah: era così che funzionava con gli uomini della sua vita, deal with it.
    E diciamo che aveva aiutato il fatto che prima fosse cieca, quindi trollarla sarebbe stato davvero di cattivo gusto, sapete. Tipo spostarsi mentre si lanciava a peso morto; davvero poco carino.
    Ma torniamo a noi. «buon compleanno!» esordì, tornando con i piedi per terra. E poteva dirlo, perché non era il suo compleanno! Che magia. Prese il nastro che teneva fra le dita, facendolo sventolare davanti agli occhi chiari di Oscar. «alzati, Fraser biondo» gli fece cenno di abbassarsi, quindi gli coprì gli occhi con il nastro, legandolo stretto. Non era una sorpresa il dove stessero andando, e non era per quello che l’aveva bendato: il regalo iniziava esattamente in quel momento. Bells voleva che Oscar vedesse la loro storia come l’aveva vissuta lei, imparando a fidarsi della mano della Dallaire come Arabells s’era fidata di quella del Fraser, sentendo ed immaginando ma senza mai poter guardare. Un diverso punto di non vista, come lo chiamava Arci – ed a ragione; infatti come battuta faceva pena, ma si apprezzava il pensiero. Si assicurò che non potesse vedere, quindi il sorriso si allargò ancor di più: felice, Bells, ed emozionata come non lo era da una vita. Quella normalità che Arabells Dallaire continuava a ricercare, l’aveva lì, a portata di mano.
    «ora possiamo andare» concluse, allungando una mano per stringere quella di Oscar.
    L’aveva sempre avuta lì.
    code © psìche


    Edited by shane is howling - 19/8/2016, 16:48
     
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  2. stupefying
         
     
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    CONTINUO DELLE ROLE IN UNA -> QUI

     
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