Brotherhood never dies

Zac & Barbie

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    Dopo le scarpe con l’aria incondizionata e le ciabatte con le lucine per evitare di sbattere il mignolo contro i mobili la notte, il generatore d’energia dovrebbe essere stato un gioco da ragazzi!
    Logicamente si sarebbe dedotta la risposta opposta, ma il cervellino di Zachary spesso e volentieri sempre funzionava al contrario: trovava estremamente facili le invenzioni “serie” quanto eccitanti e più complicate quelle… stupide, che non servivano a nessuno tranne a lui #wat La spiegazione c’era e, dal suo punto di vista, naturale! Quando era entusiasta di quello che stava facendo iniziava a combinare guai, perché prima ancora di aver terminato un lavoro incominciava a pensare a come avrebbe potuto migliore. Con le invenzioni inutili e carine era più propenso a distrarsi e sbagliava a montare un pezzo, o il verso in cui assemblarlo e quindi doveva ricominciare daccapo, arrangiandosi come poteva.
    Il generatore di cui si stava occupando avrebbe dovuto funzionare con la pupù dei suoi animaletti a quattro, due, tre, trecento, mille zampe(??) – tradotto: tutti i tipi di cacca andavano bene – e aveva la forma di un cilindro di medio grandi dimensioni. Zac l’aveva quasi finito – e meno male, perché più si portava a casa dei cucciolini di cui si innamorava a prima vista, cuore di panna e più puliva i loro bisogni, più si sentiva un netturbino coff –, ma era stato piuttosto lento. Normalmente gli ci sarebbero voluti non più di due o tre giorni, tra un impegno e l’altro, dato che non aveva problemi a lavorare durante la notte; invece era andato a rilento, troppo occupato a pensare agli ultimi avvenimenti. L’operazione in cui si erano infiltrati al ministero, ora lo scontro avvenuto a Hogwarts. Vite innocenti andate perse, per cui Zachary augurava il miglior riposo possibile. Era questo, ciò che poteva fare per loro.
    Sentì suonare la sveglia personalizzata, ovvero il verso di una foca, e accigliandosi si domandò per cosa l’avesse messa, dato che ne abusava per ricordare un sacco di scemenze; la perplessità durò un attimo, prima che si lasciasse andare a un’esclamazione. Si sbatté la mano sulla fronte, per poi alzarsi e affrettarsi a mettere ordine nel laboratorio che, francamente, era un disastro. C’erano arnesi e oggetti ovunque, viti sparse sul lungo tavolo centrale, pezzi di ricambio attaccati alle pareti e un lieve odore di olio per macchine e ingranaggi cui ormai Zac non faceva caso. In parte usava la magia per le invenzioni più “magiche”, per l’appunto, ma se era troppo facile non c’era gusto e ci teneva a fabbricare interamente a mano alcuni lavori.
    Come aveva fatto a dimenticarselo?? Oggi avrebbe incontrato il suo nuovo collega! In effetti non era ancora detto, visto che era la prima volta che si confrontavano faccia a faccia, ma Zachary correva il rischio di affezionarsi a lui dopo due secondi e tenerselo anche se era un grande imbranato #wat Sostanzialmente, Zac aveva capito che nella sua testa brulicavano troppi progetti, così tanti che alcune mappe della struttura sviluppata di tali progetti giacevano sul tavolo da mesi e mesi: questo non gli andava giù, poiché avrebbe voluto il tempo per fare tutto. Oltretutto, alla sua mancanza di tempo si aggiungevano le commissioni che talvolta gli venivano affidate da persone come Svetlana, la proprietaria del Lilum – doveva ammettere che quella donna aveva parecchia fantasia, i suoi incarichi erano i più divertenti da fare –.
    Per fortuna, non era passato molto prima che qualcuno rispondesse al suo annuncio di lavoro sul giornale e la sveglia serviva proprio a ricordargli del loro colloquio! Per quanto… serio, potesse essere un colloquio fatto da Zachary, ma dettagli. Aveva fornito al ragazzo il suo indirizzo, specificandogli di entrare nel laboratorio accanto a casa sua, quello con su scritto a caratteri cubitali “ATTENTI AL MINI ALPACA”. Già, il suo adorabile bambino peloso – l’alpaca –, lo stesso che ora sonnecchiava indisturbato perché aveva il sonno pesante come una casa, adorava mordere tutto ciò che si potesse mordere e per le gambe aveva una passione spesciale.
    Si passò le mani tra i capelli, giusto per darsi una parvenza di decenza, e con un gratta e netta si ripulì velocemente da capo a piedi. Suvvia, una minima impressione seria sul suo futuro collaboratore la doveva fare!
    Be’, se non altro il tipo era puntuale! a differenza sua, osservò compiaciuto quando ci fu un bussare alla porta, proprio all’ora precisa in cui si erano dati appuntamento. Si precipitò a bussare, non stando più nella pelle di conoscere il candidatoh, e si ritrovò davanti un giovane uomo dall’espressione non troppo… entusiasta della vita. MA CI AVREBBE PENSATO LUI!!!
    Infatti, non appena lo vide lo tirò a sé in un affettuoso abbraccio, che poi era il saluto standard del bruno, lasciandogli un paio di poderose pacche sulla schiena a mo’ di Cannavacciuolo. «Ciao!! Tu devi essere...» Ops, non si ricordava il nome. E dire che si ricordava le formule matematiche più impensabili e fuori dal normale, ma coi nomi faceva proprio schifo. Non se ne vergognò affatto, comunque, anche se forse avrebbe dovuto: gli era capitato talmente tante volte da sembrargli normale #scemo «Entra pure, su! Come stai? Posso offrirti qualcosa? Ti piacciono i mini alpaca???»

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    Dicevano che il tempo si fermasse, quando tutto andava a puttane. Una visione, nella sua tragica comicità di un egocentrico universo, quasi ottimista, perché sembrava voler permettere all’uomo di abituarsi ad un nuovo tipo di esistenza: nella realtà concreta, quella consumata fra gorgoglii di fumo e di alcool stantio, non funzionava così.
    Ma proprio per un cazzo.
    Il tempo continuava a scorrere; il giorno seguiva la notte, il sole tramontava e risorgeva sempre, perché che cazzo gliene fotteva, all’universo. La fine del mondo per qualcuno, era solo l’inizio dell’ennesima rotazione per la Terra, ballerina sorda di una melodia che non piaceva a nessuno. Le settimane passavano per tutti, che lo si volesse o meno. Lo stomaco brontolava alla ricerca di cibo, le palpebre si chiudevano su un mare d’intricati incubi o buio assoluto, la vescica premeva per espletare i propri bisogni. Tutto nella norma. Dall’altra parte del mondo, un tailandese contava i soldi in tasca chiedendosi se potesse permettersi una bottiglia di whisky; qualcuno si innamorava; qualcuno, in quell’esatto momento, veniva al mondo.
    Barnaby Jagger, strizzato in un’epoca che fingeva non gli appartenesse, lontano cent’anni e qualcosa in più da quella merda di posto che si era illuso non fosse casa, con un’altra morte sulle spalle a scongiurarlo di vivere e meritarselo, non faceva eccezione: si svegliava; si faceva la doccia; salutava con un movimento del capo Mads, in piedi da più ore di lui intenta a occupare mente e mani con quel che passava il secolo; osservava i ragazzini che ogni tanto gli facevano visita portando vestiti o cibo, preferendo posare i bruni occhi truci sull’allampanato Behan Tryhard, piuttosto che chiedersi come cazzo fosse finito a casa della “nonna” di Jessica Leroy-Gallagher; ringraziava ironico un evidentemente preoccupato Mitchell Winston, prima di sbattergli la porta in faccia; mangiava; girovagava privo di destinazione per le strade della Londra magica e non; prima di rientrare in casa, lavava e asciugava il sangue che s’era ritrovato su mani e vestiti senza sapere come fosse successo; dormiva; ricominciava.
    Tutto nella norma.
    Non aveva una reale valvola di sfogo, Barbie. Non aveva un accumulo da sfogare, Barbie. Il Jagger era una specie di vaso comunicante al nulla: si riempiva fino ad un certo punto, ed oltre quel punto – niente, scivolava via. Forse era ottimismo, non vedere se stesso come semplicemente qualcosa di rotto; forse era codardia. Ammettere di essere spaccato, avrebbe significato sapere di avere un problema, e di conseguenza trovare un modo per aggiustarsi, ma – ma Barbie non voleva, essere aggiustato. Non voleva - non poteva - essere come gli altri, perché quanto cazzo fosse in equilibrio instabile su quell’invisibile filo fra due mondi, lo sapeva solo lui: un soffio dalla parte scorretta (o peggio, corretta) e sarebbe stato perso per sempre.
    Lui, il sopravvissuto. Lui, che la strada per tornare a casa, volente o nolente, la trovava sempre.
    La verità era che Barnaby Jagger non aveva il lusso di smarrirsi; poteva solo scegliere il proprio livello d’instabilità.
    E lentamente, giorno dopo giorno, soffiava un sospiro e drizzava di poco le spalle, aggiustandosi al nuovo peso che lo comprimeva al suolo; mattino dopo mattino, posando disattento gli occhi sul frenetico movimento della Wesley, si sforzava di crederci un po’ di più, che quella oramai fosse la loro vita: lui e Mads contro tutti, spalla contro spalla per tenersi in piedi un altro fottuto giorno. Era ancora troppo presto per abituarsi all’idea che sarebbe stato così fino a che non lo sarebbe stato più; era ancora complesso credere che quella dolente stasi, avrebbe avuto la stessa rapida fine del violento inizio – ed avrebbero ricominciato davvero, senza sussultare ogni volta che delle nocche picchiassero contro la porta.
    Senza aspettarsi sempre, ogni cazzo di stupida volta, che sullo zerbino ci fosse Floyd Villalobos.
    E dire che c’era già passato, il Jagger.
    «m-m-mads» spalancò la porta della sua camera senza bussare, poggiando una spalla contro lo stipite. Vedeva le labbra muoversi, le palpebre forzatamente serrate. Dato ch’era un cinico, egoista bastardo, un po’ la odiò per quel suo ostinato pregare: ma non lo vedeva, che non cambiava un cazzo? Non lo capiva, che un Dio non c’era? «m-m-maaaads» continuò, conscio di starle rovinando una tradizione alla quale ella s’ancorava come lui alla bottiglia d’alcool – entrambe speranze vane, ma sempre confortanti. «m-m-maddalena.» solo quando ebbe finito, la ragazza alzò gli occhi su di lui.
    Chissà se vide qualcosa, sul volto di Barbie. Qualcosa che il Jagger si rifiutava di non vedere, qualcosa di cui il mondo non l’aveva mai creduto capace – qualcosa che neanche sarebbe esistito, se non fosse stato per le Mads Wesley del mondo – perché lo sguardo seccato s’ammorbidì, la linea delle labbra prese una curva più morbida. Non importava quante notti Barbie avesse già bussato alla sua porta; non era mai semplice quanto sembrava, sforzarsi di sorridere sornione nello sventolare il cuscino sotto gli occhi dell’ombrocineta. «s-s-sleepover!» un modo come un altro –
    - un modo come Barbie -
    - per dirle che anche quella notte l’avrebbe passata al suo fianco, steso sul pavimento in solitudine fino a che solitudine non fosse stata più, perché la Wesley aveva la brutta abitudine di non accettare cavallerie: pari opportunità, diceva Mads; chissà se anche lei, come Barbie, voleva solo rimanere un po’ più vicino. Non era per proteggerla, il bisogno di rimanere nella sua stanza – Zeus ce ne scampasse. – quanto per tutelare se stesso.
    Avevano tutti la brutta abitudine di andarsene; Barnaby Jagger non era in grado di chiedere rimani, ma poteva sempre lasciar intendere almeno portami con te.

    Barbie voleva essere licenziato.
    Non era ancora stato assunto, ma se aveva preso appuntamento con Coso – non si era sprecato a chiedere il nome, conoscere il luogo dell’incontro gli era parso sufficiente – era solo per sollevare il morale di Maddalena: v-v-visto, le avrebbe detto; s-s-sono un u-uomo, m-ma n-non s-s-s-sono stato assunto c-c-comunque. La Wesley stava prendendo un po’ troppo sul personale non essere ingaggiata in nessuno dei luoghi doveva aveva portato il CV, e Barbie voleva dimostrarle che non fosse colpa sua: facevano semplicemente schifo entrambi; così andava la vita.
    Non aveva aspettative. Si era presentato solo per vedere se nell’officina di Coso ci fosse qualcosa che valesse la pena rubare con cui far giocare i freaks. Picchiò violento le nocche sulla porta, così da dar subito la (giusta) impressione di essere un cazzone maleducato, e –
    Cosa lo stava abbracciando.
    Battè le palpebre, ancora fermo sullo zerbino mentre una macchia scura lo avvolgeva come un polpo fra i propri tentacoli. Si disse che non lo spinse via solamente perché colto alla sprovvista; che senso avrebbe avuto dare a quella sensazione, un nome.
    «Ciao!! Tu devi essere...»
    «ray?» un nome. Chiuse gli occhi e gli riaprì, la bocca dischiusa e la lingua incollata al palato. Avrebbe dovuto essersi abituato con Gwen, con CJ, con Joey, con Harper e perfino Bucky - ma no.
    Ma
    No.
    Perché –

    Una stanza rettangolare, usurata da speranza e lacrime.
    Cronocineti.
    RaymondJunoLeslieJackieDexter.
    Dall’altra parte, Sander.
    «ci vediamo dall’altra parte, testa di minchia»
    «…no.» lo faccio per te.
    «…che cazzo vuol dire, sand?»
    «non vengo» lo faccio per voi.
    «…»
    «non mi mancherai» vi voglio bene.
    «TI AMMAZZO SANDER, GIURO CHE -»
    Una stanza rettangolare, usurata da speranza e lacrime.
    Cronocineti.
    Solo Sander.

    - aveva vissuto venticinque anni sapendo, sapendo, non l’avrebbe mai conosciuto; perché ci aveva riso, di quella stupida lettera – pur imparandone i nomi, i volti. In un’altra vita, un’altra cazzo di vita, erano una fottuta famiglia, loro.
    Un’altra, però; non in quella vita.
    Solo sconosciuti troppo diversi.
    «Entra pure, su! Come stai? Posso offrirti qualcosa? Ti piacciono i mini alpaca???»
    Perché
    Ma
    Cosa stava succedendo. Quante…quante probabilità c’erano. Corrugò le sopracciglia e fece un passo indietro per cercare indizi sul campanello, ma era così - così - terrorizzato, da non riuscire a leggere un cazzo. Perfino la voce gli arrivava ovattata; se non avesse avuto la Guarigione, avrebbe temuto un infarto. «uh»
    A costo di suonare ripetitivo: Barbie voleva essere licenziato.
    «p-p-parli t-t-troppo» osservò statico, massaggiando il mento mentre gli occhi scuri continuavano a seguire i movimenti di [ray]. «n-n-n»ostradamus «n-n-n»occiola. «n-n-non ho c-c-capito» ringhiò, I denti a stringersi attorno all’indice. Cioè: non aveva proprio capito. Non rispose a nessuna delle domande limitandosi invece a fissarlo, indicando vacuo lo spazio fra loro: «t-t-tu»tu-tu-tuuuu [cade la linea] «s-s-sei…» ROB! Ke bella ragazzina.
    «r-r-reale.» soffiò invece, scioccamente, in un sospiro agrodolce e stanco.
    africa
    weezer
    i was just a kid
    nbt
    demons
    hayley kiyoko
    crazy = genius
    p!atd
    drown
    aviva
    prelevi? // i panic at a lot of places besides the disco
     
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